La fucina di Sant’Ilario

Pubblichiamo la seconda e ultima parte (la prima puntata è nel numero scorso, a pagina 2) di un articolo di Giovanni Spaggiari che, in occasione del 40° anniversario dell’ordinazione dei primi diaconi permanenti in diocesi, racconta l’impulso dato a questo ministero da monsignor Pietro Margini a Sant’Ilario. Proprio nella chiesa parrocchiale di Sant’Eulalia in Sant’Ilario d’Enza il Vescovo presiederà la santa Messa venerdì 23 marzo alle ore 19.

Don Pietro desiderava, nel parlare di comunità diaconale, riuscire a tradurre bene quanto san Paolo dice ai Tessalonicesi: “La comunità diaconale non deve essere solo una cosa sulla carta o proclamata agli altri, ma deve essere qualche cosa di realizzato con un’abbondanza e con una gioia notevole, perché altrimenti defraudiamo la grazia di Dio, non corrispondiamo a quel disegno misterioso che Dio ha avuto su di voi, perché non a caso siete stati scelti voi, è dunque nella grazia dello Spirito Santo che siete stati eletti e dovete maturarla questa comunità diaconale, che diventa perciò la prima comunità della parrocchia, una delle prime della diocesi, la comunità diaconale che comporta i diaconi e comporta le mogli dei diaconi, una vera e propria comunità che non distrugge né menoma le altre comunità ma però che non è neanche menomata dalle altre comunità” (Esercizi spirituali 1975).

Don Pietro dava molta importanza all’impegno dei diaconi nel servizio alla parrocchia, perché voleva con il loro aiuto intensificare tutte le espressioni della pastorale: uno dei tre campi di servizio era la “liturgia”, potente strumento di educazione cristiana. Il diacono perciò era chiamato a essere “una figura liturgica” tanto da promuovere nella parrocchia una partecipazione più attiva e autentica alla liturgia della lode, del sacrificio, dei sacramenti. In questo modo, secondo don Pietro, “il diacono doveva diventare un modello di come si viveva «liturgicamente» tutta la vita, del vivere cioè una vita pienamente cristiana”. Dirà ai candidati al diaconato, ma l’invito si poteva estendere a tutte le famiglie: “Trasformare, come diciamo spesso, la giornata in Messa, in azione liturgica e particolarmente nell’ordine diaconale trasformare la famiglia in un santuario, perché il fenomeno che assume capitale importanza è la vostra futura ordinazione. È logico, l’ordinazione non dà la virtù, l’ordinazione suppone la virtù, l’ordinazione non dà quello che non c’è, dà un potere di servire nella Chiesa, un potere di servizio, non dà altro. Si richiede da parte nostra una tale generosità, un tale impegno da renderla un santuario, per cui dalla Chiesa alla famiglia: «nel santuario ti ho cercato per contemplare la tua potenza e la tua gloria». Contemplarlo, arrivare alla contemplazione” (Esercizi 1977).

Continua a leggere tutto l’articolo di Giovanni Spaggiari su La Libertà del 21 marzo

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