Rwanda da capire in ginocchio

Il Vangelo letto ripensando al genocidio del 1994 e ai poveri

Rwanda

All’indomani del genocidio del 1994, la nostra Diocesi ha avviato in Rwanda il progetto “Amahoro” (pace, in kinyarwanda) su iniziativa di don Luigi Guglielmi, all’epoca direttore della Caritas diocesana. Sono state aperte delle Case di accoglienza, Case Amahoro, nella diocesi di Kibungo, dove si sono alternati negli anni i nostri volontari, come segno di speranza, di riconciliazione e condivisione con la popolazione.
Attualmente le Case sono 3, localizzate a Mukarange, Kabarondo e Bare, che sono tre parrocchie della Diocesi di Kibungo. Queste Case, fondate sul servizio ai più piccoli, sono delle vere e proprie famiglie allargate, dove alcune volontarie locali che hanno dedicato la vita a quest’opera accolgono e vivono con persone che sono nel bisogno, senza distinzione di etnia.

Padre Viateur Bizimana è stato nominato dal vescovo locale come guida spirituale delle Case Amahoro, in particolare per accompagnare il cammino formativo delle volontarie che svolgono servizio. Si propone a piccoli gruppi la possibilità di svolgere nel periodo estivo un servizio in queste realtà.

PRESENZE IN MISSIONE: non sono presenti missionari della nostra Diocesi, ma sono attivi i campi estivi. Referente per il Progetto Amahoro è padre Viateur Bizimana.

Sul Vangelo
(Gv 12,20-33)

Eccoci arrivati all’anticamera della Passione. In questo brano Gesù ci rivela con immagini chiare e con frasi toccanti il mistero della sua “ora” e del nostro discepolato. I Greci, stranieri di allora, chiedono ai discepoli di “vedere” Gesù, che manifesta a tutti il suo umano turbamento, la sua ferma adesione e alleanza intima al progetto del Padre.
Come questi Greci, gli stranieri che arrivano per la prima volta in Rwanda hanno il desiderio di “vedere” la bellezza di questo Paese e di capire cosa è stato davvero il genocidio. Un evento così tragico da rendere questo piccolo stato africano conosciuto in tutto il mondo e al contempo un pezzo di storia estremamente difficile da capire in tutte le sue dimensioni.
Atterrando in Rwanda, di fronte a tante teorie e “bei pensieri” che cercano di dare un senso a questo evento, si rimane spiazzati dal silenzio dei ruandesi su questo tema. Non si può raccontare. Qualcosa di indicibile. Qualcosa di inspiegabile, perfino a loro stessi. Un inciampo, una caduta. Qualcosa di superato o sempre presente? Chi può saperlo. Vero è che una persona su otto in quei mesi perse la vita. Vita strappata impunemente, velocemente, brutalmente. Tra questi tanti chicchi di grano caduti a terra, qualcuno ha accettato di poter morire perché altri non morissero.

Leggi l’intero articolo su La Libertà del 14 marzo



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