Il cardinale Hummes e il sogno di una Chiesa indigena
Dallo storico incontro di papa Francesco con i popoli amazzonici a Puerto Maldonado, in Perù, è trascorso poco più di un mese. E ne mancano circa venti alla celebrazione del Sinodo Panamazzonico. Ma il cammino verso questo evento ecclesiale è già partito, proprio nei giorni della visita del Papa. La Repam, la Rete ecclesiale panamazzonica nata nel 2014, ha infatti dato vita a Puerto Maldonado ad un primo incontro pre-sinodale. Altri ne seguiranno, con l’intento di coinvolgere in profondità le Chiese e le popolazioni (soprattutto gli indigeni) di questo immenso territorio, che si estende in nove Paesi sudamericani e comprende una novantina tra diocesi e vicariati apostolici. Quali le prospettive del cammino? Lo abbiamo chiesto al cardinale Cláudio Hummes, presidente della Repam.
Cosa l’ha colpita di più delle parole e dei gesti di papa Francesco a Puerto Maldonado?
L’insieme dell’evento ha colpito profondamente tutti noi che eravamo presenti. Papa Francesco veniva da Roma in una vera e molto significativa periferia dell’Amazzonia. Periferia maltrattata, sofferente, spogliata da progetti estrattivi predatori, degradata e contaminata dalle imprese minerarie, dalla deforestazione e dall’agrobusiness, che dopo aver estratto tutta la ricchezza delle risorse naturali, se ne vanno con le valigie piene, senza lasciar niente di buono alle popolazioni locali, ma solamente la devastazione. Tutta l’Amazzonia soffre questo processo e rischia di sparire. Con quest’Amazzonia minacciata, in questa periferia, con queste popolazioni angosciate di fronte al loro futuro, specialmente con gli indigeni, il Papa ha voluto incontrarsi per unire la sua voce profetica e incoraggiante alla voce della gente dell’Amazzonia.
Leggi tutto l’articolo di Bruno Desidera su La Libertà del 7 marzo