Leggendo la Relazione del Ministero della Salute
Il 13 gennaio scorso il Ministero della Salute ha pubblicato la Relazione sull’applicazione della legge 194/1978 sull’aborto volontario in Italia per l’anno 2016. Gli aborti col metodo “tradizionale” sono stati 84.926, in diminuzione del 3,1% rispetto al 2015 confermando un trend degli ultimi tre anni. Trend in calo, ma non con la stessa velocità iniziale. Infatti la diminuzione degli aborti sta rallentando in percentuale. Ma cerchiamo di leggere attentamente i dati presentati e quella che sembrerebbe una buona notizia. Innanzitutto rileviamo che, passati 40 anni per questa legge, a differenza di altre non è mai stata ritoccata né rimessa in discussione. La relazione ha ben 129 pagine ma, come è stato fatto notare, non si accenna minimamente alle vittime che sono arrivate, legalmente, alla cifra che lascia senza fiato di 5.830.930. Dietro questo numero ci sono le altre “vittime” che sono le donne.
Si parla del “diritto” della donna a scegliere, della prevalenza del diritto della donna su quella del feto (che la tragica e sbagliata sentenza della Corte Costituzionale del 1975 definì “non ancora persona”) e di “maternità responsabile”. Tuttavia controllando i numeri si nota che l’aborto è anche usato come “controllo delle nascite”, concetto questo respinto da chi promuove e difende la legge. Il tasso maggiore di abortività volontaria, nettamente superiore a quello totale (6,5/1.000 donne in età fertile) si registra nelle classi di età comprese tra i 20 e i 34 anni con il massimo nel gruppo di età 25-29 anni.
Se a questo aggiungiamo che il 54,8% delle donne che hanno abortito nel 2016 sono nubili, che il 39,4% non ha alcun figlio e che il tasso di fecondità totale (tft) sia sceso a 1,34 figli/donna (1,26/donna italiana e 1,97 per donna straniera) e che l’età media del primo parto nelle italiane è 32,4 anni (28,7 nelle straniere), possiamo affermare che l’aborto volontario entro i 90 giorni è usato come “mezzo per il controllo delle nascite”.
Leggi Tutto l’articolo di Gabriele Soliani su La Libertà del 7 febbraio