Il convegno “Pionieri della sollecitudine pastorale nelle migrazioni” (18 novembre) si è tenuto a Piacenza presso la Casa madre dei Missionari Scalabriniani sul ruolo provvidenziale svolto da un vescovo di Piacenza, il beato Giovanni Battista Scalabrini, e dalla fondatrice delle Suore Cabriniane, santa Francesca Saverio Cabrini. Organizzato dallo scalabriniano padre Gabriele Bentoglio, al convegno sono intervenuti come relatori Gian Antonio Stella, gli scalabriniani Gelmino Costa e Andrew Brizzolara, le religiose Leocadia Mezzomo e Barbara Louise Staley. I vari relatori hanno offerto uno sguardo approfondito sui viaggi di Scalabrini e Cabrini e sulle loro strategie missionarie, collocate accanto alla pastorale migratoria di oggi.
Chi avrebbe mai pensato che i barconi così colmi di volti nuovi scuri e con quegli occhi sbarrati, così penetranti, avrebbero ipnotizzato l’opinione pubblica italiana? Non passa giorno senza che dibattiti, interviste sul merito o meno di tali “viaggi della speranza” si accendano e continuino imperterriti, accentuando posizioni divergenti, a volte diametralmente opposte, non solo sul fronte politico, ma anche all’interno di associazioni di volontariato e della stessa Chiesa. L’enorme attenzione mediatica in Italia (stampa, programmi televisivi, discussioni alla radio, conversazioni al bar…) lascia intravedere sentimenti contrastanti. Se vi è un sentimento comune, ritengo sia lo sbigottimento (e le varie soluzioni conseguenti, non escluso il rimpatrio pure forzato) per tutta quella gente impachettata su quei barconi così pieni di uomini, donne e bambini (anche di cadaveri!), tutti uniti dalla speranza di trovare chissà che cosa in Italia o in altre nazioni europee, già appensantite, come si pensa generalmente, da problemi “nostri”: corruzione, attività mafiose, disoccupazione giovanile, mancanza di sicurezza e stabilità economica…
Adesso arrivano sui barconi, allora viaggiavano sui bastimenti. Su quest’ultimi c’erano la prima classe (comodissima), la seconda (piuttosto scadente) e la terza classe, dove erano ammassati centinaia di donne, bambini e uomini, al chiuso, senza sufficienti strumenti per combattere malattie invettive, tifo e dissenteria, a causa delle quali perirono un numero indecifrato di persone, buttate in mare. Alcuni parlano del 25% degli imbarchi. Ricordiamo che alcuni bastimenti furono rimandati in patria dalle autorità portuali del Nord e Sud America, per evitare il rischio di contagio.
Ogni Paese “benestante” ha sperimentato ondate di immigrazione. Lo è stata l’America nei suoi tempi di colonizzazione nord-europea fino al 1870, quando, dopo l’unificazione dell’Italia, è iniziata la forte ondata di italiani.
Lo è ora l’Italia, a incominciare dagli anni ’80. Ricordo ancora le affermazioni di un ex giornalista italiano, conosciuto alcuni anni fa, dopo un suo viaggio negli Stati Uniti. Raccontava: “Pensavo di conoscere abbastanza la storia d’Italia, incluso il fenomeno delle emigrazioni (sono stato, ad esempio, anche ad Ellis Island, New York, con la sua ricca documentazione).
Sapevo che milioni di Italiani erano emigrati in condizioni per lo più disperate, ma non sapevo, ad esempio, che venissero generalmente considerati esseri inferiori, letteralmente dei negri. Se erano poveri, sporchi, ignoranti, superstiziosi, era per scelta, non per necessità, si pensava in America. E ovviamente erano considerati tutti delinquenti, dal coltello facile, quando non terroristi o spie. Da respingere anche perché eccessivamente prolifici e avrebbero di conseguenza colonizzato tutte le terre ove approdavano”.
Leggi il testo integrale dell’articolo di Tony Paganoni su La Libertà del 24 gennaio