Al Museo diocesano «Ego Sum Via. Via Aemilia. Via Christi»
Quanto siano importanti le vie di comunicazioni per lo sviluppo dei popoli è cosa nota; infatti lo avevano ben capito gli antichi romani che, con l’espandersi delle loro conquiste, ne costruirono parecchie e con una tecnica che ancora oggi è imitata, cioè quella degli strati, da cui si può facilmente capire anche l’origine della parola strada.
I nostri antichi progenitori avevano la tendenza a tracciarle quanto più diritte possibile, in modo da percorrere la distanza minore fra due luoghi. Lo fece in modo perfetto il console Marco Emilio Lepido, da non confondersi però con il più noto omonimo, cioè quello che fece parte, circa un secolo e mezzo dopo, del triumvirato con Marco Antonio e Ottaviano Augusto.
Dicevo in modo perfetto, perché il nostro console tracciò una linea retta, mi verrebbe da dire con il righello, per unire le città di Rimini e di Piacenza, attraversando praticamente quasi tutta la Pianura padana. Collegando così Roma con il nord conquistato da poco, attraverso la via Flaminia, che partendo dalla Caput mundi si fermava proprio a Rimini.
Ci vollero solo due anni, dal 189 avanti Cristo al 187 a.C., per lastricare le 177 miglia romane che coprivano l’intero percorso di quella che sarà chiamata via Emilia in onore del console, dove miglia sta per ‘mille passus’. Per loro questo passo equivaleva – in effetti erano due – a 1,48 metri, il che fa un totale di 261,96 chilometri odierni.
Leggi tutto l’articolo di Giuseppe Maria Codazzi su La Libertà del 16 dicembre