Ho avuto la fortuna, l’onore e la gioia di far parte della delegazione diocesana in visita al Madagascar per il 50° della Missione. Donata Frigerio ha già abbondantemente relazionato su La Libertà circa le solenni e partecipate celebrazioni nelle varie città dove siamo presenti dal 1967, quando la prima équipe diocesana sbarcò nell’Isola Rossa.
Raccontare il Madagascar è come leggere un libro di storie: ogni luogo ha i suoi colori caratteristici, le sue tribù con storie e tradizioni millenarie che ancora sopravvivono, la sua natura peculiare e i suoi animali unici ed indimenticabili.
Volevo in questa occasione fare un raffronto tra il viaggio che feci quasi 30 anni fa e quello dei giorni scorsi. Ma già scendendo all’aereoporto di Ivato con il super traffico di Tananarive, inizio subito a capire che nulla è cambiato nelle condizioni di vita dei malgasci: tutti ancora per strada, bancarelle improvvisate, gente ammassata che aspetta taxi-be, signore che lavano panni nel fiume.
E incontro, esattamente come la volta scorsa, tanta gente a piedi: tutti camminano, spesso senza scarpe, tanti bimbi che giocano, le donne, nei loro abiti colorati, in testa portano di tutto, taxi-brousse stracarichi di gente e merce. Poi “strade” (se si possono definire così) dove incrociamo taxi-brousse (pulmini stipati di persone e merci e animali fino all’inverosimile), carretti trainati da zebù, bambini, bambini, bambini…
Un proverbio malgascio (ce ne sono tantissimi colmi di sapienza popolare) dice che “la vita è miele (quindi dolcissima) e aloe (quindi amarissima) e rende veramente l’idea dei contrasti e delle contraddizioni di questa terra malgascia. Da una parte le bellezze dell’Isola, forse la più bella del mondo: i primi navigatori che approdarono sulla costa del Nord a Nosy-be pensavano di essersi trovati in Paradiso, dall’esplosione della natura, uno scrigno rimasto intatto per 160 milioni di anni, da quando si staccò dal Gondwana con una flora e una fauna uniche al mondo… poi la bellezza degli abitanti nella pratica dell’ospitalità, dell’accoglienza, della dolcezza, gli sguardi, le strette di mano, i gesti di benevolenza, i volti, i sorrisi di tutti, in particolare dei bambini (credo che fra le decine di viaggi che ho fatto per il mondo, questi siano i sorrisi più radiosi, splendenti, contagiosi che abbia mai visto).
Leggi tutto l’articolo di Enos Rota nella speciale Giubileo Missionario su La Libertà del 16 dicembre