Se sei giù, sali in sella

Il cavallo suscita da sempre sentimenti forti in chi gli si avvicina. Così apparentemente altero e distaccato, così veloce, focoso e incredibilmente bello, ci lascia un senso di meraviglia. Ci spinge a creare una relazione fatta di attenzione, cure, scambio. La sua vicinanza ci pone in uno stato di rilassamento e calma.

I cavalli interagiscono con noi basandosi sull’istante medesimo: questa interazione ci dà la possibilità di poter accedere alle nostre emozioni profonde. Nel silenzio di questo tipo di relazione non c’è il pericolo di venire afflitti dal giudizio o dal pregiudizio. Per questo il cavallo come compagno può aiutare ad affrontare i propri disagi e le proprie disabilità. L’animale non è competitivo, non giudica, non rifiuta, non emargina, è disinteressato, disponibile, autentico, non si focalizza sull’handicap; di fronte a lui e con lui possiamo essere noi stessi senza paura. Può essere un valido aiuto a recuperare capacità “schiacciate” dal problema che la persona è costretta a vivere.

Pensiamo a disabilità di tipo motorio: una persona impossibilitata a camminare, in sella ad un cavallo può esprimere il proprio movimento grazie alla comunicazione con un altro essere; le potenzialità psico-fisiche e relazionali vengono amplificate, diventa possibile il superamento di ostacoli e limiti fisici e psichici, spaziali e temporali. L’ ippoterapia (o l’onoterapia che utilizza i  simpaticissimi asini) è applicata in svariati campi: disturbi di apprendimento, difficoltà di relazione con gli altri, autismo, bullismo, ludopatia, sono solo alcuni esempi. Esperienze basate sulla relazione, sulla comunicazione, sulla  libertà di espressione di sentimenti e stati d’animo, fanno sì che la persona risponda al meglio a qualsiasi altro stimolo.

Il cavallo ovviamente non deve essere un sostituto della mancanza di relazione con gli altri, ma un ponte comunicativo, un grande alleato che ci aiuta a migliorare le relazioni interpersonali. Nei soggetti autistici c’è un’alterazione di interazione sociale e di comunicazione; il repertorio comportamentale è ristretto e ripetitivo; spesso non rispondono al contatto visivo e non mostrano interesse per chi parla. La relazione non verbale con l’animale (soprattutto quella tattile) è un collegamento col mondo animato, quindi riduce il senso di isolamento, aumenta lo stato affettivo: ci sono esempi di bambini che hanno detto le prime parole in sella. L’animale è sempre un’efficacissima “ginnastica relazionale”.

Per chi pratica lo sport dell’equitazione prima o poi arriva il momento della caduta, che è il momento in cui mettere in discussione se stessi e i lati su cui lavorare di più: eliminiamo le giustificazioni, non troviamo scuse o alibi (incolpare il cavallo, il terreno pesante, il clima, l’orario…). Pat Parelli (famoso addestratore che basa il suo metodo sulla comprensione e sulla costruzione di un profilo relazionale) sostiene che se il cavallo dice “no” ad una nostra richiesta, o abbiamo sbagliato tipo di domanda o l’ abbiamo posta in un modo errato. Analizziamo cosa non ha funzionato e lavoriamoci, non rimaniamo impantanati nei nostri limiti, non molliamo, teniamo lo sguardo sui nostri obiettivi ( e questa è una grandissima “palestra” per la vita quotidiana!).

Il grande Imperatore Napoleone Bonaparte non era certo un virtuoso della sella e le sue cadute erano frequentissime (naturalmente venivano taciute nelle narrazioni delle sue imprese!), ma le sue eccezionali qualità mentali e la sua volontà di ferro lo aiutarono a sopperire alle mancanze fisiche  e alle lacune tecniche.

Affidiamoci allora al cavallo con grande rispetto; che sia un rapporto da terra o in sella, l’effetto benefico è assicurato!

In uno spettacolo di Giovanni Lindo Ferretti (cui consiglio di assistere se vi capita) una ragazzina alle prime armi montava un cavallo di esperienza dichiarando: “Fa tutto lui!”. Giovanni allora la interrogò: “Ma tu farai pure qualcosa…” “Io non gli do noia” fu la risposta!

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