Unità pastorali: non si riflette abbastanza?

Caro direttore,
c’è un notevole fermento in diocesi intorno alla diminuzione dei preti e alle unità pastorali. Ma partiamo con due grossi limiti: questa riflessione andava fatta 50 anni fa quando comparivano le prime parrocchie senza parroco residente e, soprattutto, non può essere fatta senza il coinvolgimento di tutto il Popolo di Dio.
Anche io ho partecipato a una serie di incontri in seminario. Affollatissimi di preti e di laici. Con numerose lamentele e proposte. Poi… il nulla. Nel frattempo le unità pastorali, generalmente, non decollano (sembrano il rifugio degli ultimi aficionados) e le parrocchie, spesso, languono.
Il nome “parrocchia” è vietato. Convocare una riunione dei fedeli che celebrano insieme la Messa? Scisma! Dire “la nostra comunità”? Campanilismo! I Consigli pastorali sono aboliti sotto lo slogan: “Sarebbe un tornare indietro” (ma in alcune fortunate comunità stanno risorgendo). Tornare indietro? Qualcuno mi vuole spiegare dov’è il davanti? Prima del Concilio non c’erano i Consigli pastorali: abolirli è un tornare indietro!
Sento dire: il vescovo ha sbagliato a mettere insieme quelle parrocchie. Ribatto che il vescovo non ha messo insieme nessuna parrocchia: ha semplicemente nominato il tal prete parroco di due o più parrocchie. O stesso parroco significa unico parrocchione?

Forte è il mio stupore perché quando prima proponevo di fare qualcosa (esercizi spirituali, gruppo giovani, campeggi) insieme alle parrocchie vicine si alzava un muro insormontabile. Oggi invece c’è una vera epidemia di “facciamo insieme” al grido di “Siamo in unità pastorale, no?”. Peccato che il “facciamo insieme” coinvolga i soliti quattro fedelissimi, escludendo i fruitori domenicali del “negozio Parrocchia”.
Gesù non ha dato inizio a una monarchia assoluta, un’organizzazione verticistica o un Ufficio Permessi per il Paradiso: Gesù, per usare le sue parole, ha fondato l’assemblea dei fedeli, la sua assemblea, la Chiesa. Le nostre parrocchie sono assemblee di cristiani? Nonostante gli errori e il tempo perso, bisogna ripartire da qui. Rendere le celebrazioni domenicali vere liturgie del Popolo di Dio, momenti di forte comunione, non mera soddisfazione individualistica del precetto festivo.

Quante parrocchie convocano l’assemblea di tutti i fedeli, dove ciascuno può dire liberamente quello che pensa? I cristiani sono vasi da riempire (con prediche, comandamenti, precetti di uomini) o fuochi da accendere perché diano gloria alla libertà dei Figli di Dio?
Un mio ex parroco mi stupiva per il suo ottimismo evangelico: spargeva tranquillità e fede tutt’intorno. Bei tempi! L’ho incontrato due mesi fa e parlando di unità pastorali ha commentato: “Mah: chi vivrà vedrà”.
Mi sembra davvero urgente convocare gli Stati Generali della Chiesa reggiana e riflettere sul nostro modo di essere Chiesa qui e ora.

Gianfranco Bertani

 

Risponde il Vicario generale monsignor Alberto Nicelli

Gentilissimo Signor Bertani,
desidero anzitutto ricordarle che il primo documento diocesano sulle Unità pastorali è del 1994: venne presentato in tutti i vicariati dall’allora Vicario generale monsignor Marmiroli su mandato del vescovo monsignor Gibertini. Se ne è parlato troppo poco in questi anni? Forse per responsabilità dei sacerdoti… e non sarà forse anche per quella del “Popolo di Dio”? Troppo spesso si tende ad affrontare le questioni quando emergono i problemi: già in quel documento di 23 anni fa era scritto a chiare lettere che in quel momento la Diocesi poteva fare per scelta ciò che in futuro avrebbe dovuto fare per necessità. Purtroppo oggi siamo nel tempo della necessità!
Lei dice: “…Poi…il nulla”.
Credo che in realtà molto si sia detto a proposito delle Unità pastorali e delle parrocchie che le compongono.
Nel 2015 sono stati pubblicati e distribuiti gli “Orientamenti diocesani per le Unità Pastorali” che rappresentano il punto di riferimento per camminare “in avanti” sulla strada, ormai irreversibile, di questa nuova forma di presenza della Chiesa sul territorio.

Leggi la risposta completa di monsignor Nicelli su La Libertà del 25 novembre