Anima eletta nella putrida guerra

Suggestioni dal convegno «Clemente Rebora e Reggio»

Un pazzo da rinchiudere? No. Semplicemente un uomo grande e fragile, traumatizzato più di altri dall’orrore della guerra nelle retrovie, fatta di fango e di corpi polverizzati mischiati al putridume del fronte orientale. La verità su Clemente Rebora è racchiusa in una lettera scritta dal famoso neurologo milanese Paolo Pini, indirizzata il 16 dicembre 1917 a Giuseppe Guicciardi, direttore dell’Ospedale psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia, e contenuta nella scarna cartella clinica che ha accompagnato il mese di ricovero del poeta nella nostra città, dal 19 dicembre 1917 al 19 gennaio 1918. È quella che lo psichiatra Gaddomaria Grassi, direttore del Dipartimento di Salute mentale dell’Ausl reggiana, chiama la terza diagnosi su Rebora. In quella missiva Pini, che aveva avuto in cura il paziente per un anno e mezzo, lo dipingeva come sensibilissimo a tutte le emozioni (“La sua delicatezza è tale da risentire di qualsiasi contrarietà”), credibile nel suo racconto e “assolutamente inabile al servizio militare”. Soprattutto, ravvisava correttamente nella brutalità del conflitto la causa della patologia che la psichiatria positivista dell’epoca, per mano di un medico del San Lazzaro, aveva bollato piuttosto – e questa è la seconda diagnosi – come “mania dell’eterno”. Un’espressione, spiega Grassi, che non compare nelle classificazioni nosografiche di oggi, le quali eventualmente preferirebbero parlare di paranoia.

Ma non era questo il caso di Rebora, i cui disturbi nel 2017 sarebbero verosimilmente ricondotti a disturbi post traumatici da stress. Ancora meno avevano capito i medici che – dopo il distaccamento di Rebora al Deposito di Fanteria di Mantova, avvenuto nel dicembre 1915, validando diversi periodi di non idoneità al combattimento – avevano visto in questo “degenerato” uno squilibrio nervoso, aggiungendo poi il deperimento organico e lo scarso afflusso di sangue al cervello in “soggetto a originaria debole costituzione” (prima diagnosi).

Continua a leggere tutto l’articolo di Edoardo Tincani su La Libertà del 7 ottobre