«Una terra dai molti problemi, che però sa farsi tanto amare»

Don Giovanni Davoli, tornato dal Madagascar, si racconta

Una nuova avventura pastorale lo attende, sebbene questa volta abbia i contorni di un’area molto più vicina geograficamente e di una comunità che gli era già in parte familiare. Ma ogni nuovo inizio, si sa, è sempre un po’ un ricominciare da zero. Ed è papa Francesco stesso a insegnarci che le “periferie esistenziali” non sono tanto – o soltanto – quelle misurate dalle distanze in chilometri; le si può riconoscere infatti in qualche sperduto villaggio su un’isola africana, ma altrettanto facilmente in uno dei sempre più anonimi quartieri-dormitorio delle cittadine e dei paesi in cui viviamo. Don Giovanni Davoli era parroco a Brescello e Lentigione quando il vescovo Adriano Caprioli gli chiese di partire – nell’agosto 2012 – per il Madagascar come prete fidei donum.
Di Cella invece, dove ha fatto il suo ingresso sabato scorso (si veda a pagina 13) divenendone parroco assieme a Gaida e Cadè, ricordava ancora ad esempio quella bimba che battezzò, neonata, quando lui prestava servizio come curato, ritrovata oggi, trent’anni dopo, educatrice e per la seconda volta mamma.
In mezzo fra queste due esperienze ci sono quasi cinque anni “pieni” (non solo in senso temporale, ma anche e soprattutto come patrimonio di incontri, condivisioni, affetti) che ha potuto coltivare – secondo ritmi più lenti e certamente più a misura d’uomo – sull’Isola rossa. Un bagaglio di vita che si porterà sicuramente appresso per sempre. Incontro don Giovanni, intento a riordinare tutte le sue cose, nella canonica di Cella. Mi chiede subito di dargli del tu, guidandomi intanto tra le stanze, nelle quali sta cercando di sistemarsi dopo aver “fatto San Martino”.

Don Giovanni, un trasloco-bis in meno di 5 anni: stressante…
Dici bene. Ma io per mia fortuna partivo con un vantaggio: già prima di volare in Madagascar ero riuscito a liberarmi di tanta roba che sentivo non mi sarebbe servita. A volte imparare ad abbandonare le cose che ci appesantiscono è importante. Si fa un po’ più di spazio all’essenziale.

E lasciarsi alle spalle il Madagascar è stato complicato?
Là ho vissuto un’esperienza di profonda fraternità: con la gente del posto, religiose e consacrati di varie Congregazioni, i fratelli delle Case della Carità, Serve e Servi della Chiesa, i miei confratelli fidei donum nel ministero, i laici missionari e le laiche missionarie, i preti malgasci… Mi ha aiutato molto – per fare chiarezza nell’animo e vivere meglio e con maggior consapevolezza questo passaggio – il Mese Ignaziano che ho potuto vivere presso i Gesuiti a Napoli qualche settimana fa. Un’esperienza di deserto e al tempo stesso di rifioritura interiore che mi è stata assai utile. Ho “visto” il Signore. Veramente l’ho sentito operare grazia su grazia dentro di me. Straordinario.

Il Madagascar in due parole?
è una terra dai molti problemi, ha debolezze, fragilità… però sa farsi amare, tanto. Quando ricevetti la lettera del vescovo Massimo che m’informava e della decisione che s’andava delineando, debbo dire che di primo acchito mi prese una stretta al cuore; pensavo di potermi fermare più a lungo. D’istinto ricontrollai il cognome: che non avessi letto male, aprendo una busta indirizzata invece a don Giovanni Ruozi? No, era proprio per me.

Leggi tutta l’intervista di Matteo Gelmini a don Giovanni Davoli su La Libertà del 30 settembre