La missione reggiana di un sacerdote del Madagascar

Padre Olivier racconta quattro anni di esperienza pastorale

“Lalina ho ahy ny hitanisa ny Fitiavanao” (è insondabile per me il tuo Amore, Signore).
Questo canto liturgico racchiude tutto quello che ho vissuto in questi quattro anni in Italia. Due punti fondamentali, a parte la preghiera che è un dovere e un piacere, il non pensare troppo a quello che accadrà e l’ascolto. In poche parole, l’essenziale è la disponibilità e l’esserci. Gesù ha raccomandato ai suoi discepoli di non portare né borsa né soldi: questa proposta riguarda la preoccupazione sul futuro e la voglia di portare con sé il passato. Non dimentichiamo che viaggiare leggero è un piacere e ci aiuta a sperimentare la provvidenza. Sembra una parola troppo alta, ma in realtà significa “Mangiare il pane degli altri”, non nel senso negativo, ma nella condivisione totale. Infatti, chi accetta di mangiare quello che l’altro offre fa un passo in più di colui che riceve, esce della sua abitudine e si fida di chi offre. L’esempio tipico è quello di Pietro apostolo da Cornelio (Atti 10, 13).
Non farsi un’idea, spesso sbagliata, del posto dove andrai; per un missionario è meglio buttarsi dentro la novità; non dobbiamo dimenticare che l’angelo aveva detto: “So che cercate Gesù il crocifisso. È risorto, come aveva detto; è risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete.” Il nostro schema anti-esperienza ci inganna e impedisce di cogliere la realtà come dono.
La cosa importante è il cammino insieme, lo scoprirsi attraverso il tempo, in modo che la testimonianza sia vera e sentita.

Quattro anni a Reggio Emilia, due nell’unità pastorale San Lorenzo, che ha cambiato nome, e due nell’unità pastorale beato Paolo VI, mi hanno fatto sperimentare la pietà profonda di coloro che frequentano, anche se purtroppo si nota il calo in percentuale dei praticanti. Comunque la categoria dei “simpatizzanti”, quelli che non vengono ma cercano di vivere la fede cristiana, ci fa capire anche la chiamata a rivedere l’impostazione pastorale. Ho sperimentato l’ascolto. I preti spesso parlano, indicano, annunziano e/o denunziano; invece in questi quattro anni ho sperimentato il valore dell’ascolto. Non si tratta soltanto di non parlare, ma di mettere in luce la Parola dell’altro.

Continua a leggere tutto l’articolo di Olivier Randriafanomezantsoa su La Libertà del 23 settembre



Leggi altri articoli di Chiesa