Il Vescovo non è il “padre padrone” autosufficiente e nemmeno l’impaurito e isolato “pastore solitario”. Il discernimento del Vescovo è sempre un’azione comunitaria, che non prescinde dalla ricchezza del parere dei suoi presbiteri e diaconi, del popolo di Dio e di tutti coloro che possono offrirgli un contributo utile, anche attraverso gli apporti concreti e non meramente formali. «Quando non si tiene in nessun conto il fratello e ci si considera superiori, si finisce per inorgoglirsi anche contro Dio stesso», affermava Doroteo di Gaza.
Nel dialogo sereno, egli non ha paura di condividere, e anche talvolta modificare, il proprio discernimento con gli altri: con i confratelli nell’episcopato, ai quali è sacramentalmente unito, e allora il discernimento si fa collegiale; con i propri sacerdoti, dei quali è garante di quell’unità che non si impone con la forza ma si intesse con la pazienza e saggezza di un artigiano; con i fedeli laici, perché essi conservano il “fiuto” della vera infallibilità della fede che risiede nella Chiesa: essi sanno che Dio non viene meno nel suo amore e non smentisce le sue promesse.
Come insegna la storia, i grandi Pastori, per difendere la retta fede, hanno saputo dialogare con tale deposito presente nel cuore e nella coscienza dei fedeli e, non di rado, sono stati da loro sostenuti. Senza questo scambio «la fede dei più colti può degenerare in indifferenza e quella dei più umili in superstizione» (John Henry Newman).
Così Papa Francesco si è rivolto ai vescovi ordinati nell’ultimo anno – partecipanti al corso di formazione -incontrandoli la mattina di giovedì 14 settembre nella Sala Clementina.
Nel suo discorso il Santo Padre ha ribadito la centralità del discernimento spirituale e pastorale. “Consentitemi di condividere alcune riflessioni circa questo tema sempre più importante nei nostri giorni, paradossalmente segnati da un senso di autoreferenzialità, che proclama finito il tempo dei maestri mentre, nella sua solitudine, l’uomo concreto continua a gridare il bisogno di essere aiutato nell’affrontare le drammatiche questioni che lo assalgono, di essere paternamente guidato nel percorso non ovvio che lo sfida, di essere iniziato nel mistero della propria ricerca di vita e felicità.È precisamente mediante l’autentico discernimento, che Paolo presenta come uno dei doni dello Spirito e san Tommaso d’Aquino chiama «la virtù superiore che giudica secondo quei principi superiori», che possiamo rispondere a tale bisogno umano odierno”.
Bisogna essere consapevoli che il grande dono dello Spirito Santo – invocato al momento dell’ordinazione episcopale – “riposa su fragili spalle”. Soltanto chi è guidato da Dio ha titolo e autorevolezza per essere proposto come guida degli altri. Può ammaestrare e far crescere nel discernimento solo chi ha dimestichezza con questo maestro interiore che, come una bussola, offre i criteri per distinguere, per sé e per gli altri, i tempi di Dio e della sua grazia: Questa saggezza è la sapienza pratica della Croce.
Il vescovo – ha proseguito il Papa – non può dare per scontato il possesso di un dono così alto e trascendente, come fosse un diritto acquisito, senza decadere in un ministero privo di fecondità. È necessario continuamente implorarlo come condizione primaria per illuminare ogni saggezza umana, esistenziale, psicologica, sociologica, morale di cui possiamo servirci nel compito di discernere le vie di Dio per la salvezza di coloro che ci sono stati affidati. Pertanto, è imperativo ritornare continuamente nella preghiera a Gabaon per ricordare al Signore che davanti a Lui siamo perenni “ragazzi, che non sanno come regolarsi” e per implorare “discernimento nel giudicare in mezzo al suo Popolo”. Senza questa grazia, non diventeremo buoni meteorologi di quanto si può scorgere “nell’aspetto del cielo e della terra”, ma saremo incapaci di “valutare il tempo di Dio”. Il discernimento, pertanto, nasce nel cuore e nella mente del vescovo attraverso la sua preghiera, quando mette in contatto le persone e le situazioni affidategli con la Parola divina pronunciata dallo Spirito. È in tale intimità che il Pastore matura la libertà interiore che lo rende saldo nelle sue scelte e nei suoi comportamenti, sia personali che ecclesiali. Solo nel silenzio della preghiera si può imparare la voce di Dio.
gar