Charlie Gard, intreccio di mani

Editoriale de La Libertà del 5 agosto

Quando un bambino muore ancor prima di giungere a un anno di vita è una sconfitta per tutti, un dolore di fronte al quale solo il silenzio non suona offesa ai sentimenti e alle passioni dei genitori e di quanti hanno conosciuto, amato, curato il piccolo che passa dalla morte alla Vita.

In questo silenzio tre mani si intrecciano: le accomuna non tanto il medesimo braccialetto che dà un nome alla lotta per la vita, quanto l’amore che le tiene insieme, un amore più forte della morte. Sono mani che hanno stretto il dolore, che non sono riuscite a proteggere come avrebbero intensamente voluto, che hanno racchiuso speranze sempre più flebili.

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Non sono nulla tre semplici mani che formano un Tau, che iscrivono una dolorosa vicenda umana nel dono di vita offerto dalla croce di Cristo. Eppure di quelle mani l’umanità ha bisogno: mani che testimoniano la predilezione per i piccoli, gli indifesi, i sommersi, gli scartati; mani che non smettono di trasmettere calore, amore, vita anche quando l’amore è contraddetto, il calore si stempera, la vita viene meno.
Non sono nulla le mani di un bambino, di un uomo e di una donna che avevano sognato di stringersi molto più a lungo, di ritrovarsi l’una accanto all’altra, tutte e tre fedeli a distanza di giorni, di mesi e di anni, che avevano promesso di prendersi cura reciprocamente.
Lo hanno fatto finché hanno potuto, anche oltre ogni limite ragionevole, perché l’amore va al di là dei limiti della scienza e della vita.
Ora la mano più piccola ha lasciato la presa, senza voce né parole ha cantato un sofferto Nunc dimittis, trasmettendo un ultimo sussulto di pace e di gratitudine alle altre due mani. Ora paiono affrante le due mani rimaste, eppure in loro pulsa l’anelito della più piccola, pulsa la vita che hanno saputo trasmettere al di là di ogni male e di ogni ombra di morte.

No, non hanno fallito quelle mani e grazie a loro non ha fallito l’umanità che è in ciascuno di noi.
Perché di quell’intreccio di mani è intessuta l’umanità che non possiamo permetterci di smarrire. Perché quell’intreccio di mani innalza un inno alla preziosità della vita, alla difesa del dono più grande che ciascuno di noi riceve, un inno alla prima e fondamentale vocazione di ogni essere umano: avere vita, essere vita.