Pigi e l’elogio dell’obbedienza

La lunga esperienza in Brasile di don Bernareggi

Scoppiettante, nonostante il suo carico di acciacchi e qualche amnesia presto recuperata, magari con un commento ruspante in dialetto milanese. Don Pigi Bernareggi, classe 1939, è un’altra delle belle sorprese che il vescovo Massimo porta in diocesi, dopo don Vincent Nagle. Il luogo è lo stesso, l’aula magna del Seminario; è il dopocena di mercoledì 7 giugno.
“Le nostre vite – dice monsignor Camisasca introducendo l’ospite – si sono incrociate agli inizi degli anni Sessanta; lui era per me un punto a cui guardare e tutti e due guardavano a don Giussani”. Entrambi accomunati dall’urgenza “che quello che vivevamo fosse per tutti” e dalla comunione delle Chiese nell’unica Chiesa. Per il resto molto diversi, come fotografa la battuta con cui il Vescovo chiuderà la serata: “Se si voleva avere una prova che i figli di don Giussani non sono fatti con lo stampino, l’abbiamo avuta!”.

Il missionario imposta l’incontro in forma di dialogo, facendo una premessa sul senso dell’obbedienza, che poi è il filo conduttore della sua vita. Cita il profeta Elia, don Pigi, e il rivelarglisi di Dio nella brezza leggera, per spiegare che l’obbedienza è “un sottile suggerimento che ti può venire dalle cose apparentemente meno importanti”, è fonte di pace, non terreno di conflitto; è rispondere “Non ho nulla in contrario” alla chiamata, piuttosto che descrivere la vocazione come passione tracimante o come una propria certezza.

Leggi il testo integrale dell’articolo di Edoardo Tincani su La Libertà del 17 giugno

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