«Shakespeare» di Tomasi di Lampedusa

Esaminò i miei pochi libri.
“Bene, bene. Sei forse
meno ignorante
di quel che sembri.
Questo qui” aggiunse
prendendo in mano
il mio Shakespeare
“questo qui qualche cosa
la capiva”.
(Giuseppe Tomasi
di Lampedusa,
I Racconti, pagina 59)

Pochi sanno – io penso – che Giuseppe Tomasi di Lampedusa, l’autore del “Gattopardo” e di “Lighea”, fosse un appassionato lettore delle opere di William Shakespeare. Nel 1953 egli scrisse, quasi certamente “d’impeto”, un piccolo saggio dedicato al grande Poeta. Il saggio si pone all’inizio di una breve stagione di intensa creatività. Nel 1954 Tomasi incominciò a scrivere Il Gattopardo. Ed è probabile che anche i suoi, pochi, racconti siano stati scritti in quegli anni. Nato nel 1896, Tomasi di Lampedusa morì nel 1957, ignaro del successo che avrebbe avuto la sua opera. Il romanzo apparve presso Feltrinelli nel 1958. I Racconti (fra i quali lo straordinario “Lighea”) furono pubblicati nel 1961. Il saggio su Shakespeare uscì negli Oscar Mondadori nel 1995.

I Sonetti
Nel saggio dedicato a Shakespeare, un’attenzione particolare è rivolta, da Tomasi, ai Sonetti. Dei centocinquantaquattro sonetti pubblicati da Shakespeare nel 1609, ed esaminati uno ad uno (alcuni anche verso per verso), una quarantina circa sarebbero a suo giudizio “fra le cose più alte della letteratura mondiale”.
L’interesse per le liriche non è solamente estetico. I Sonetti sono considerati dal Tomasi anche fondamentali da un punto di vista biografico – l’unica fonte di informazione diretta sulla vita del Poeta.
Come è noto, i Sonetti narrano la storia dell’amore del Poeta per un uomo (poco importa se quest’uomo fosse un giovane gentiluomo o un attore): come in tutte le storie d’amore c’è il momento dell’ammirazione estetica, quello dell’esaltazione sensuale, quello della bruciante gelosia.
Ma poi ecco, improvvisamente, arriva una donna (la “dark lady”) e seduce entrambi, sia l’amante che l’amato, cosicché l’amante (cioè il nostro poeta, William Shakespeare) si sente doppiamente tradito, va in crisi depressiva e sembra rinnegare la fallace bellezza della carne e la natura inaffidabile della donna (ma a ben pensarci anche dell’uomo). (A parte la conclusione, che mi sembra un “luogo comune” di molti canzonieri d’amore, il canzoniere di Shakespeare è certamente – considerati i tempi – originale, realistico e spregiudicato.)

Leggi tutto il saggio di Antonio Petrucci su La Libertà del 3 giugno

SHAKESPEARE