Un paio di estati fa lo spasso era tirarsi le secchiate d’acqua gelata in testa. Più recentemente andava di gran moda immobilizzarsi come manichini. Senza dimenticare la famigerata sfida a tracannare il più in fretta possibile smodate quantità di alcol. Il tutto ripreso da una telecamera per essere postato sui social network e condiviso a più non posso.
Le nuove catene di Sant’Antonio all’epoca di Facebook si propagano ben più efficacemente delle loro vetuste antenate di carta e anche delle loro più recenti progenitrici via email. Non è solo una questione di velocità: a differenza delle altre, le moderne catene “social” non propugnano né fastidiose richieste né tantomeno malcelate minacce in caso d inadempimento e, anziché essere destinate al cestino (reale o virtuale che sia), sono cavalcate con entusiasmo dagli utenti.
Il motivo? Semplice. Perché spesso il loro originale intento – talvolta collegato ad una buona causa – viene in tutto o in parte travisato nell’impetuoso buzz (passaparola) sulla rete, travolto dall’irrefrenabile narcisismo che resta l’elemento più forte del DNA dei social network.
Cito un caso molto interessante: nell’estate del 2014 l’ice bucket challenge, la campagna virale lanciata dall’associazione statunitense contro la SLA, ha spinto molti testimonial d’eccezione ad auto-gavettonarsi con l’acqua gelida e a postare i relativi video per sensibilizzare l’opinione pubblica su questa malattia e promuovere una raccolta fondi. Le fonti ufficiali che si trovano sul web parlano di un grandissimo successo sia in termini di interazioni sui social network (likes, visualizzazioni, condivisioni, etc.) sia in termini di denaro ottenuto.
Una gran cosa quindi. La sfida del secchio ghiacciato è stata riproposta anche l’estate successiva, nel 2015, ma è mancato il cosiddetto wow effect, l’effetto stupore delle novità impattanti: così la gente comune ha continuato a farsi docce gelate a beneficio di webcam per tutta la calda stagione, ma più che altro per autocompiacimento e per sfida goliardica alla propria cerchia di amici digitali. Risultato? Sono stati raccolti molti meno soldi e molte più figure barbine di pance nude “scottate” dal ghiaccio.
Sia chiaro: se la vanità porta anche solo un euro o un pensiero in più a favore di chi ne ha bisogno è sempre ben accetta. Resta solo un pizzico di amarezza per chi fa il buontempone in rete cavalcando la moda senza rendersi conto del contesto.
Un po’ come è appena successo per un’altra catena, quella della “sfida accettata”, in cui siamo finiti dentro in tanti, presi dall’euforia di mostrare ai nostri contatti su Facebook come eravamo affascinanti o buffi qualche anno fa.
Fino alla settimana scorsa le nostre bacheche sono così state invase da foto delle vacanze al mare negli anni ’90, della naja, della squadrette di calcio di pulcini, della festa delle medie con la Fanta e il visino innocente e di quella dell’università con il gin tonic e il volto strafatto… I più mattacchioni hanno postato l’immagine di uno spermatozoo per dire che loro sì che sono andati indietro nel tempo (e tanti facciotti sorridenti).
Bene, bravi. Ma quanti di noi sapevano – e sanno ora – che il tutto è nato per dare un sostegno simbolico alla lotta contro il cancro, lanciato mesi fa su iniziativa di alcuni utenti indiani e britannici e con regole ben precise?
Al momento della pubblicazione dello scatto d’annata come nuova immagine del profilo, avremmo infatti dovuto monitorare chi clicca “mi piace” per poi inviare loro il seguente messaggio privato: “Riempiamo Facebook con immagini in bianco e nero per dimostrare il nostro sostegno alla battaglia contro il cancro. Questa è la sfida. Ai tuoi amici a cui piacerà il tuo post, invia questo messaggio”.
Qualcuno l’avrà anche fatto, ma certamente i più si sono limitati a scherzare in rete con gli amici sui bei tempi andati. Nulla di male per carità, nessun moralismo, ma ammettiamolo, non l’abbiamo capita.
C’è così chi ha chiesto scusa e chi, più saggiamente, ha invitato tutti a sostenere la battaglia contro i tumori sempre e comunque, con un gesto di affetto o con un aiuto concerto ai pazienti, ai loro familiari e ai centri di ricerca.
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