Avere cura, il Papa come esempio

Riflessione in vista della 25a Giornata Mondiale del Malato

Siamo vivi perché non siamo già morti, ma è certo che accadrà, prima o poi. Siamo sani perché non ancora ammalati, ma è molto probabile che potrà accadere. La morte resta l’esperienza più frequente sulla faccia della terra e la sofferenza la segue da vicino. Queste banali ma non tanto usuali considerazioni ci fanno comprendere come la Giornata Mondiale del Malato che sarà celebrata sabato 11 febbraio non è un evento futile. La malattia, la sofferenza, la morte sono un tempo duro e difficile nella vita di tutti. Un tempo a volte lungo e faticoso, dove si diventa poveri per la perdita del proprio corpo, del proprio ruolo familiare, lavorativo, sociale; dove la fragilità si accompagna alla precarietà e alla dipendenza.

E’ un tempo nel quale si ha a che fare con la paura, con la preoccupazione per l’avvenire dei familiari, con la solitudine; non raramente si sperimenta la desolazione e la disperazione. Il Vangelo continua ad essere anche oggi una buona notizia per la grande quantità di uomini e donne che si trovano in questa condizione. Viene fatta risalire al secolo XIV una preghiera che ci indica un metodo eccellente per l’annuncio del Vangelo ai poveri: “Cristo non ha mani, ha soltanto le nostre mani, per fare il suo lavoro oggi. Cristo non ha piedi, ha soltanto i nostri piedi per guidare gli uomini sui suoi sentieri. Cristo non ha labbra, ha soltanto le nostre labbra per raccontare di sé agli uomini di oggi. Noi siamo l’unica Bibbia che i popoli leggono ancora; siamo l’unico messaggio di Dio, scritto in opere e parole”.

Continua a leggere l’articolo di Ivano Argentini su La Libertà del 4 febbraio

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