Quale «Eucaristia fa la Chiesa» nelle nostre unità pastorali?

A inizio anno pastorale, il punto sulla nuova forma di parrocchia

È già passato un anno dall’ultima ristrutturazione delle nostre parrocchie in unità pastorali; un’operazione che a tavolino sembra aver funzionato bene, ma che nella sua messa in atto si presenta non immediata e non facile da concretizzare in quanto si tratta di rendere questa nuova formula pastorale “segno della Chiesa di Gesù” in un determinato territorio, divenuto ora più ampio e in un contesto che sempre più tende a diventare complesso e problematico e con una presenza di ministeri istituiti non sempre sufficiente.
Ora ogni formula istituzionale o religiosa che viene proposta al vissuto delle persone si presenta con una propria forma di volto dai particolari lineamenti, riconosce i propri limiti, evidenzia varie sfaccettature, esprime una realtà ideale o trascendentale che la supera e che non riesce mai a manifestare completamente, per cui c’è sempre uno scarto tra ciò che si riesce a concretizzare e ciò che si vorrebbe realizzare.
Pertanto mi sembra rilevante, in questo primo momento di “edificazione dell’unità pastorale”, porsi la domanda “quale forma dare alle unità pastorali? E chi la dà? A quale modello fare riferimento?”. Non si tratta di un fattore nominalistico o di dare atto alle attitudini di chi è stato chiamato a fare il moderatore o di seguire alcune indicazioni provenienti dall’alto.

Non è sufficiente tenere presente l’immagine del vasaio che in base alle sue capacità manualistiche plasma la creta fino a raggiungere quanto egli aveva nella sua mente o l’esempio dell’architetto o ingegnere che nel ristrutturare un edificio sa a quali regole, già prestabilite e già provate per la sicurezza, attenersi, oppure copiare le modalità di vita della prima comunità cristiana di Gerusalemme così come riferiscono gli Atti degli Apostoli.

Continua a leggere tutto l’articolo di Giancarlo Gozzi su La Libertà del 17 settembre

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