Il cuore inquieto

In uno scambio di messaggi uno studente universitario chiede: “Mi scuso se sembro invadente: potrebbe spiegarmi quella frase che ha messo nel suo ‘stato’ di WhatsApp?” (si vede proprio che è estate, mi dico, e che c’è il tempo di andare a curiosare nei profili e negli stati altrui).

“Quella frase” è l’epitaffio che il cardinale inglese John Henry Newman (1801-1890), beatificato da Benedetto XVI nel 2010, volle sulla propria tomba: Ex umbris et imaginibus in veritatem. Poche, scarne parole che riassumono l’itinerario esistenziale di questo grande uomo, presbitero anglicano e personaggio di spicco della Chiesa riformata inglese in virtù del suo grande spessore intellettuale, brillante filosofo e teologo, inquieto cercatore della Verità; proprio questa ricerca lo avrebbe spinto, dopo un lungo e sofferto travaglio, alla conversione al cattolicesimo (ricevuto il battesimo cattolico nel 1845, fu ordinato sacerdote due anni dopo e creato cardinale nel 1879). La sua fama, complice la particolare storia della Chiesa anglicana e dei rapporti di quest’ultima con la Chiesa di Roma e i cattolici – sprezzantemente definiti “papisti” – fecero della sua conversione un caso clamoroso. Famiglia ed amici lo disconobbero, mentre l’ostracismo e la diffidenza dell’ambiente intellettuale e dell’opinione pubblica (protestante, ma anche cattolica) lo avrebbero da quel momento accompagnato a lungo. Questa la sua esperienza: un faticoso uscire da false certezze, ombre ed immagini illusorie, per procedere nell’abbraccio di quella Verità dalla quale la sua viva coscienza pensante non aveva mai smesso di sentirsi attratta – a dispetto persino dei suoi affetti e delle sue preferenze.

uomo e cosmo

E l’intuizione paradossale che solo così poteva avere un volto, che solo così poteva diventare ogni giorno di più “se stesso”. Lo spiegava nei Sermoni oxfordiani: c’è in noi una voce, un’esca che è la Verità stessa ad accendere perché possiamo riconoscerla e ricercarla. Si tratta della nostra coscienza, che non coincide con l’arbitrio individuale, né col moralismo che ci schiaccia sulla nostra insufficienza e ci ripiega su noi stessi; essa è “relazione tra l’anima e qualcosa di esterno, superiore ad essa; relazione a un’eccellenza che non le appartiene”. È, come afferma l’allora cardinal Ratzinger proprio commentando Newman, il luogo della “presenza percepibile ed imperativa della voce della verità” in noi: una Verità che domanda un’adesione che è assieme della ragione, dei sensi e del cuore; una Verità che quasi ci perseguita dalle pieghe della nostra storia per svelare noi a noi stessi.

Quello di Newman è il percorso di ogni uomo.

Lo ha compiuto Sant’Agostino (di cui ricorre la memoria alla fine del mese): la passione del comprendere e una ricerca serrata fino al baluginare improvviso della Verità, svelatasi a lui come la bellezza così a lungo inseguita; svelatasi come un “Tu” – incomparabilmente più alto di ogni umana possibilità, eppure radicato nelle profondità del cuore di ogni uomo (è la stupenda immagine di Confessioni, III, 6, 11, di un Dio “intimior intimo meo et superior summo meo”). E la scoperta che questa intuizione del vero non costituiva un possesso definitivo, non garantiva un’ascesa continua, ma apriva un faticoso peregrinare in cui nessuna domanda, nessuna rinuncia poteva essere risparmiata.

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Lo ha compiuto la geniale filosofa ebrea Edith Stein, poi monaca carmelitana (santa Teresa Benedetta della Croce, ricordata il 9 agosto): ella stessa diceva di sé che la sua più vera e costante preghiera aveva coinciso (fin dalla fanciullezza trascorsa nella fede ebraica, fin dagli anni giovanili di abbandono dell’esperienza religiosa) con un bruciante anelito del vero. Un desiderio che si snodò attraverso un brillante percorso filosofico, fino all’incontro con la Croce (la morte improvvisa, in guerra, di un caro amico) e con la grande Teresa di Gesù, la santa di Avila, la cui autobiografia spirituale Edith lesse in una sola notte nell’estate del 1921 dopo averla casualmente trovata nella biblioteca dei coniugi Conrad, dei quali era ospite. Chiuse il libro esclamando: “Questa è la verità!”; una Verità che aveva un volto e un nome, che era una Persona, e che sceglieva di farsi incontrare da lei attraverso la viva esperienza di una monaca nata quattro secoli addietro.

Mi hai toccato, ed ardo dal desiderio della tua pace”: così Agostino, e così anche Newman, Edith, Teresa. Così ogni uomo sulla terra, assetato di una Verità e di una Bellezza che desidera anche senza conoscerle. In un’epoca in cui l’esperienza cristiana è spesso ridotta a elencazione di buoni sentimenti e valori umanitari mi colpiscono e mi provocano questi cuori inquieti, da tempo per me amici e compagni di viaggio. L’incontro con la Verità non costituì il comodo approdo del loro interrogare, ma l’inizio di un nuovo e più intenso cammino: nella convinzione che ci fosse una risposta da cercare, inesauribile come la Gloria di Dio eppure familiare come il Volto di un Uomo. Una risposta alla quale è possibile sacrificare simpatie, propensioni, persino antiche appartenenze: sacrificare tutto, per riguadagnare tutto. Per ricevere in cambio, pienamente, se stessi.

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