Auschwitz, 14 agosto 1941: storia terribile e dolcissima

La forza di san Kolbe: «Solo l’amore crea!»

Quando ci penso rivedo ancora quella cella angusta e tetra, nello scantinato umido di uno di quei lugubri casermoni, teatro del sacrificio di un Uomo di statura soprannaturale.
Ad Auschwitz ci sono stato due volte: ho accompagnato i ragazzi del Liceo “Russell” nel 2005 e quelli del Liceo “Canossa” nel 2010. In quei luoghi le emozioni diventano pregnanti, soffocanti: sarà anche per questo, oltre che per il freddo intenso, che nell’ultimo viaggio ho rischiato pure un infarto.
Lì, la macabra sensazione della morte diventa concreta, solida; ma più ancora la percezione altrettanto concreta del livello di bassezza e di stupidità a cui può arrivare la bestia umana.
Pazzi criminali come Mengele, indegnamente nobilitati dal titolo di dottore, compivano delitti mostruosi chiamandoli sperimentazioni, le cui uniche finalità erano normalmente costituite dalla sadica, morbosa curiosità di… vedere l’effetto che fa, se il malcapitato dura tanto o dura poco!

In questa anticamera dell’inferno era arrivato, il 28 maggio del 1941, tre mesi dopo il suo arresto da parte della Gestapo, Massimiliano Maria Kolbe, un prete polacco che portava con sé un bagaglio culturale veramente enorme: presso la Pontificia Università Gregoriana si era dedicato allo studio delle Scienze naturali, della Matematica, della Trigonometria, della Fisica e della Chimica, poi allo studio della Filosofia e della Teologia; e grazie a questi studi conseguì ben due lauree, una nella sede della stessa Università Gregoriana e l’altra al Collegio Internazionale Francescano.

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