Approvato alla Camera in via definitiva il ddl delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e del servizio civile, con 239 voti a favore e 78 contrari (in gran parte M5S). Una riforma molto attesa da tutto il mondo che ruota intorno al Terzo settore: associazionismo, volontariato, imprese e cooperative sociali.
Un comparto che (al 2011) conta circa 300mila organizzazioni no profit, con 681mila addetti, 271mila lavoratori esterni e un fatturato intorno ai 64 miliardi di euro (il 4,3% del Pil). La delega, che punta a riordinare la normativa vigente, definisce i principi fondamentali attorno ai quali dovranno articolarsi i decreti delegati che porteranno alla creazione di una sorta di testo unico del Terzo settore integrando la disciplina del servizio civile universale.
Il Governo, quindi, dovrà emanare i decreti attuativi entro un anno dall’entrata in vigore della legge. Il testo definisce chi e come potrà rientrare nella categoria del Terzo settore. Vale a dire gli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale, mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi.
Non rientrano nel Terzo Settore le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le fondazioni bancarie, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche. Fra le misure previste, l’aggiornamento periodico delle attività di interesse generale (con decreto del Presidente del Consiglio su proposta del Ministero del lavoro) promosse dal Terzo settore; il riordino e la revisione organica della disciplina che riguarda il Terzo Settore; la creazione di un Registro unico nazionale del Terzo Settore da istituire presso il Ministero del lavoro, con iscrizione obbligatoria per gli enti che accedono a fondi pubblici, a fondi privati raccolti con sottoscrizioni pubbliche, e a fondi europei; la creazione di un Codice del Terzo Settore che contenga le disposizioni generali che si applicano a tutti; l’obbligo di trasparenza e controllo anche attraverso la disciplina degli organi di controllo interno e i meccanismi di informazione ai soci; la pubblicizzazione dei bilanci e la rendicontazione dell’attivita’ svolta, anche in relazione ad eventuali contributi pubblici ottenuti o raccolte fondi effettuate; la proporzionalità tra i diversi trattamenti economici per garantire l’assenza di scopi non lucrativi.
Ma anche l’individuazione di criteri che consentano di distinguere, nella tenuta della contabilità, la diversa natura delle poste contabili in relazione al perseguimento dell’oggetto sociale; la garanzia dell’applicazione negli appalti pubblici di condizioni economiche non inferiori a quelle previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro adottati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative.
Per la disciplina fiscale è prevista la semplificazione della normativa e l’istituzione di misure di supporto come alcuni strumenti di finanza sociale, agevolazione delle donazioni e facilitazione delle procedure di assegnazione di beni pubblici inutilizzati. Mentre la revisione della disciplina delle Onlus prevede una “migliore definizione delle attività istituzionali e di quelle connesse”: vengono ribaditi infatti sia il vincolo di non prevalenza delle attività connesse sia il divieto di qualsiasi distribuzione di utili o di avanzi di gestione. I Centri di Servizio per il Volontariato (Cesv) potranno essere costituiti e gestiti non solo dalle organizzazioni di volontariato ma con il concorso di tutti gli enti del Terzo settore (garantendo comunque la maggioranza negli organi di governo al volontariato). Ed è prevista l’istituzione del Consiglio Nazionale del Terzo settore (superando gli Osservatori nazionali per il volontariato e l’associazione di promozione sociale) con funzioni di controllo, monitoraggio e informazione. Per quanto riguarda l’impresa sociale, poi, le sue finalità sono assimilate a quelle degli altri soggetti del Terzo settore: con una forte limitazione della remunerazione del capitale sociale (che deve assicurare la destinazione prevalente degli utili al conseguimento dell’oggetto sociale) e con medesimi requisiti di trasparenza e partecipazione. E anche le cooperative sociali sono considerate a tutti gli effetti impresa sociale. Mentre si prevede una ridefinizione delle categorie dei lavoratori svantaggiati sulla base delle nuove forme di esclusione sociale.
Il servizio civile diventa universale (finalizzato alla difesa non armata della patria) e si apre anche ai cittadini stranieri regolarmente soggiornanti da 18 a 28 anni. Saranno rivisti i criteri di accreditamento per l’accesso al 5X1000; semplificate le procedure per il calcolo e l’erogazione dei contributi; istituito un Fondo presso il ministero del Lavoro per sostenere le attività di interesse generale del Terzo settore, con una dotazione di 17 milioni per il 2016 e 20 per il 2017; e varata la Fondazione Italia Sociale per raccogliere donazioni di imprese e cittadini a favore degli enti del Terzo settore, con una dotazione iniziale di un milione di euro.”
Un passaggio positivo per il Paese”, commenta il segretario confederale Cisl Maurizio Bernava. ”Per dargli il valore di una vera riforma, però, la nuova normativa – aggiunge – si dovrà incardinare all’interno di un ripensamento complessivo del nostro welfare”. Perciò, prosegue Bernava, nel percorso di emanazione dei decreti attuativi ”chiediamo sia posta dal Governo e dal Parlamento più attenzione al confronto sociale”, affinchè la nuova legge divenga un ”elemento propulsore e una leva per innovare l’attuale sistema di welfare e protezione sociale”. “La Cisl – sottolinea Bernava – nell’iter dei provvedimenti attuativi chiederà che questi siano caratterizzati da alcuni elementi fondamentali: la responsabilità verso l’interesse generale e l’innovazione sociale, la partecipazione, la trasparenza e la legalità. “Per la Cisl – conclude il Segretario Confederale – serve realmente al Paese un “social act”, non come insieme di misure e interventi, ma quale ambito in cui si ridisegnano le strategie, si ridefiniscono obiettivi e indirizzi delle politiche sociali e assistenziali, si riorganizzano i modelli di governance e si riorientano risorse per il welfare in modo da rispondere ai fabbisogni crescenti di una società con sempre più ampie fasce di vulnerabilità, povertà ed esclusione”.
Francesco Gagliardi