Le isole di Gulliver

Grandioso esempio di ciò che può fare l’immaginazione

Proponiamo un approfondimento, a cura del professor Antonio Petrucci, sul romanzo “I viaggi di Gulliver” di Jonathan Swift, per il quale si è utilizzata soprattutto la traduzione di Lidia Storoni Mazzolani (Einaudi, 1989).

La prima cosa che occorre dire è che “Gulliver” non è un libro per l’infanzia, anzi è esattamente l’opposto, e che ridurlo a un libro per l’infanzia – per via dei lillipuziani e dei giganti – è fargli un torto terribile: significa privarlo del suo furore e della sua grandezza (come del resto succede col Moby Dick di Melville). La seconda cosa da dire è che “Gulliver” è un grandioso esempio di quello che può fare l’immaginazione: vi si possono vedere in atto le strategie più vistose, il ribaltamento della realtà, l’esagerazione, l’attribuzione di qualità e forse altro. In Swift l’immaginazione è asservita a scopi parodistici e satirici. Lui fa la parodia dei libri di viaggio e la satira delle utopie. Il suo modello “vero” è forse “I viaggi di Sinbad il marinaio” de Le mille e una notte. Le sue utopie ovviamente sono negative, sono contro-utopie o distopie, e mirano a rivelare l’ipocrisia, la corruzione, la stupidità e la violenza che si annidano in ogni società perché si annidano nel cuore umano. (Solo Voltaire può mettersi a confronto con Swift. Ma Voltaire si diverte là dove Swift è pieno di sconforto.) La terza cosa da dire è che “i viaggi di Gulliver” sono viaggi in Paesi lontani e che questi Paesi spesso, se non sempre, sono isole. Ciò dipende dal fatto, che abbiamo già segnalato, che le isole sono, per eccellenza, i luoghi della “negazione” cioè del ribaltamento di ciò che è noto e fa parte della nostra esperienza o delle nostre abitudini. Le isole sono, per eccellenza, i luoghi dell’immaginario.

Il dottor Lemuel Gulliver
Lemuel Gulliver, il protagonista del libro I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift, è anche il narratore, l’io-narrante della storia. Ovviamente in questi casi il lettore non ha nessun vantaggio sul personaggio, deve credere a quel che dice, ma egli si professa in più occasioni un narratore assolutamente veridico.
Gulliver è un medico ed un chirurgo, ma non lo vedremo mai esercitare la sua professione, operare o curare un malato, né interessarsi a una malattia né adoperare il linguaggio specifico della sua disciplina. La sua vera vocazione è quella dell’esploratore e dell’antropologo. Assetato di avventure e di nuove conoscenze (ma per lui sono la stessa cosa), Gulliver è amante del mare più che della terra. Si potrebbe dire che soffra di malditerra.
Pur essendo sposato e padre di due figli, non sa resistere a lungo presso la famiglia. Le sue mirabolanti avventure si svolgeranno fra il 4 maggio 1699 (viaggio che lo porterà a Lilliput, come subito diremo) e il 5 dicembre 1715 (quando rientrerà definitivamente in patria dopo le esperienze “estreme” nel Paese dei Cavalli). Se si fanno calcoli precisi, si scopre che Gulliver, in sedici anni e sette mesi, ha trascorso in famiglia, più o meno… sette mesi.
Dimenticavo di dire che il dottor Gulliver è incredibilmente portato alle lingue e nel corso dei suoi viaggi imparerà rapidamente il lillipuziano e via via tutte le lingue, per quanto difficili o improbabili, dei Paesi visitati.

Continua a leggere il saggio di Antonio Petrucci su La Libertà del 28 maggio

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