Cesarina, la vita, la SLA

Un’esperienza di accompagnamento familiare

Ho conosciuto Cesarina nel 2001 quando aveva 68 anni. Suo marito, Ivo, aveva avuto un ictus che lo costringeva a letto e gli dava grossi problemi di linguaggio e mobilità.
Cesarina era tutto per lui, non lo lasciava solo neppure un istante, e appena si era resa conto della grave infermità del marito aveva deciso di prendere un’auto alta, con bagagliaio spazioso che doveva servire per portare con sé Ivo e la sua carrozzina.
Era una festa vederli insieme al supermercato; nonostante Ivo fosse difficile da spostare, lavare e vestire, perché la sua infermità non gli consentiva quasi di muoversi, lei non ha mai chiesto aiuto e soprattutto non l’ho mai sentita lamentarsi.
Traspariva il suo amore per lui e per la sua famiglia. Quando andavo a trovarli Ivo, nonostante mi avesse conosciuto dopo la sua malattia, si ricordava sempre di me: ero la nipote della Maria, la sua vicina, e di don Bruno Zanghieri; lui, mio zio, me li aveva fatti conoscere e immancabilmente li andava a trovare. Ivo si commuoveva e per Cesarina era una ventata di aria pura, perché passando tanto tempo in casa, erano poche le persone con cui poter scambiare qualche parola.
Mi trovavo bene con loro. Cesarina mi faceva vedere i suoi gatti e mi raccontava di come aveva assistito per anni e fino alla fine la madre tracheostomizzata e le persone più prossime della sua famiglia.
Mi raccontava che era sarta e di come aveva trasmesso in piena gratuità questa sua abilità a chi glielo avesse chiesto; in un secondo tempo, poi, si era messa a fare la magliaia, sempre in casa per non sacrificare la famiglia con la sua assenza.
Raccontava con gioia dei loro tre nipotini, di Clara la loro unica figlia, che abitava in un altro paese e non mancava mai di fare loro visita ogni giorno.

Leggi tutto l’articolo di Rebecca Simonetti su La Libertà del 9 aprile 

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