Catechisti a scuola di teologia

Teologia, liturgia e pastorale per rinvigorire l’iniziazione cristiana

L’Iniziazione Cristiana (IC) è «un cammino diffuso nel tempo e scandito dall’ascolto della parola, dalla celebrazione e dalla testimonianza dei discepoli del Signore, attraverso il quale il credente compie un apprendistato globale della vita cristiana e si impegna a una scelta di fede e a vivere come figlio di Dio, ed è assimilato, con il battesimo, la confermazione e l’eucaristia, al mistero pasquale di Cristo nella Chiesa».
Il corso intende illustrare questa definizione sintetica, mostrando l’essenziale carattere unitario dell’iniziazione cristiana e il profondo legame tra le riflessioni di teologia sacramentaria, l’accompagnamento pastorale e la catechesi, la celebrazione liturgica, la vita della comunità cristiana.

Abitudini
In tutte le nostre parrocchie “il catechismo è una certezza”. Non riusciamo a immaginare che cosa sarebbero le nostre parrocchie senza catechismo, né le nostre comunità senza le feste annuali delle prime comunioni e delle cresime. Gli anni di catechismo, spesso interpretati come “preparazione ai sacramenti”, fanno parte di quegli elementi fondamentali che per la grande maggioranza degli italiani costituiscono la parrocchia. Quasi tutti gli adulti ne hanno fatto esperienza e molti genitori anche non praticanti ancora oggi mandano i figli al catechismo. In sostanza, il catechismo per i sacramenti è una di quelle attività che, talvolta malvolentieri, “si devono fare”; come si va a scuola, si fanno le vaccinazioni, si fa sport.
Quando le cose diventano abitudini diffuse e consolidate, si tende a pensare che siano sempre state così e che sia ben noto il loro significato. Anche il catechismo non sfugge a questa logica: cambiano i tempi, ma talvolta pensiamo che la struttura del catechismo – che conta ormai alcuni secoli di storia – giunga a noi perfettamente uguale a se stessa fin dagli inizi della Chiesa e che non ci siano alternative possibili all’attuale prassi.

Continua a leggere il testo integrale dell’articolo di don Stefano Borghi su La Libertà del 20 febbraio

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