Mille porte, ma la Porta è solo Lui

Le porte sono mille, perché la porta è una. La porta è Lui.
Il gesto con cui papa Francesco ha indicato come “porte sante” del Giubileo della Misericordia tante porte in giro per il mondo, nelle Chiese e nelle carceri, è potente e semplice. Ha preso un segno e lo ha strappato dalla ritualità che tende a velare tutti i segni, anche importanti. E ne ha richiamato il significato. Non sono un teologo. Non chiedetemi disquisizioni troppo sottili. Ma so cosa è restare fuori da una porta, so cosa è posare la fronte sui battenti chiusi e piangere, so cosa sono i battenti di un cuore che si aprono.pp1921205
Il simbolo della porta santa ha radici antiche. Ma la radice primaria sta nell’esser una porta che si apre a chi cerca Dio, segno della apertura del Sorriso dell’Essere a chi lo cerca. L’unica porta che conta. E il Papa ha detto: questa porta è vicina. Non sta in un Tempio lontano, sul monte, ma vicino.
Papa Francesco dice la “Porta” è aperta, è vicina. Siamo amici di un Dio che ha aperto, che ha mandato il suo Figlio, il suo pezzo di cuore, a essere porta.
La porta santa, si dice, ma è santa perché è un segno di Lui. Il rito conta, ma non è nulla se non introduce a una carne, una casa, a una comunità. Se non introduce al cuore-porta di Gesù.
I superficiali vedono in questo moltiplicarsi di porte per il Giubileo un banale “decentramento”. Come se il Papa e la Chiesa fossero una assicurazione che dissemina filiali. La chiesa reale sa che il Papa non è un capufficio, non è il capo della filiale centrale. Quella che da sempre apre le porte ai piccoli lasciati fuori da tutti. Non capiscono, questi piccoli osservatori o forse voyeurs, che si tratta invece di un gesto di accentramento, del più grande accentramento possibile: rivolgere i cuori alla presenza di Gesù, dell’uomo-porta di Dio.
La porta è una, è Lui. Gli occhi alla porta che è Lui. Al suo volto che faceva sussultare gli amici mentre abbatteva le porte di un Tempio chiuso, al suo sorriso che faceva crollare gli spalti del male e del rimorso, il suo gesto che alzava i paralitici.
Le porte sono mille, la porta è una. I suoi discepoli, la Chiesa, quella conosciuta e quella sconosciuta, hanno replicato mille volte quei gesti. S’è fatta “porta aperta” in giro per il mondo. E in questo Giubileo della Misericordia papa Francesco lo ha voluto ricordare ai distratti con una decisione semplice e forte. Come a dire: guardate dentro il rito, guardate dove indica il segno. I Papi hanno questo compito, in fondo. Indicare. Essere guide che fanno vedere. E la storia della comunità cristiana è piena di segni, di riti, di liturgie. Ci sono i “segni efficaci” ossia i sacramenti, l’unico caso in cui tra segno e significato v’è coincidenza assoluta. Quel pezzo di pane è realmente il corpo di Gesù, il perdono è il Suo. Poi ci sono i segni che indicano, che non coincidono con il loro significato. Tanti gesti, tanti oggetti, e tutta l’arte. Il Giubileo può essere una grande rieducazione ai segni. Quando oggi si dice che si vive nell’età della comunicazione, si dimentica spesso che essa è fatta soprattutto di segni. E la Chiesa è stata maestra di vita attraverso linguaggio e testimonianza fatti di tantissimi segni. Ma, appunto per questo, è anche sui segni che si combatte la “buona battaglia” della fede oggi. L’avvilimento, lo svuotamento dei segni è una delle strade che vengono usati da sempre dagli avversari della scomoda presenza della Chiesa. Così li reinventiamo.

Davide Rondoni