Più Natale, semmai, nel tempo del terrore

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La prima pagina del 5 dicembre

Premesso che penso che il più agguerrito avversario del Natale sia il suo annacquamento commerciale, per cui la festa ogni anno comincia più in anticipo, bruciando l’attesa liturgica (siamo in Avvento) e presentandosi all’immaginario collettivo con simboli innocui ma a-religiosi, che vanno da babbi sovrappeso a neve finta e lustrini; premesso che è una contraddizione in termini utilizzare simboli cristiani profondamente radicati nel cuore degli italiani, dalla croce al presepio, come armi di offesa o di difesa, culturale o partitica, perché sono intimamente impregnati di pace, proprio quella vera, che inizia dal cuore umano, che Cristo è venuto a portare nel mondo “scendendo dalle stelle”, nascendo realmente in una povera mangiatoia di Betlemme e morendo sul serio per amore di tutti su una croce; premesso che a leggere sui mass media e a parlare a lungo dei casi eclatanti di ignoranza, nel senso etimologico della parola, di dirigenti scolastici e insegnanti che periodicamente gettano nel cestino, insieme a “pericolosi” e “disturbanti” canti e segni “religiosi” (leggi cristiani), secoli di storia, cultura e arte, si finisce comunque per pubblicizzare quei gesti ideologici e per confermare la regola per cui fa più rumore l’albero che cade (il buon senso degli improvvidi censori) invece che alla foresta che cresce (i bambini che stanno preparando il presepe in casa e a scuola, i fedeli che a Messa in Avvento e per Natale ci vanno più di prima, quelli che anche se erano anni che non si confessavano, grazie a papa Francesco e al Giubileo della Misericordia torneranno ad avvicinare un sacerdote, ed è un’occasione di grazia davvero straordinaria); tutto ciò premesso, quanto accaduto nell’istituto comprensivo “Garofani” di Rozzano o, più vicino a noi, nella scuola dove insegna la maestra-assessore di Toano, dove i canti della tradizione natalizia erano stati considerati una “provocazione” pericolosa per altre culture e religioni, lascia quest’anno doppiamente feriti. Vorrei radicalmente e umilmente contestare proprio la motivazione falsamente laica di quelle decisioni: dopo la strage Parigi, sarebbe meglio evitare di offendere i bambini stranieri e di fede islamica.
A parte il fatto che i genitori musulmani non solo quasi sempre accettano, ma molto spesso desiderano il rispetto della tradizione natalizia cristiana, ciò che indigna è che nel pensiero unico del nulla che vorrebbe imporsi (ovviamente a partire dalle scuole) si parte da un malinteso senso della laicità e da un’interpretazione errata e a senso unico del malessere degli immigrati. Ma nello spaesamento e nel clima di diffidenza generato dal terrorismo, non è mettendo in naftalina i nostri tesori che evitiamo danni peggiori. Il contrario: questo tempo ha bisogno di più Natale cristiano, di più autenticità di fede in quello che facciamo e diciamo, a cominciare da quello che raccontiamo a noi stessi.
È fuori dalla realtà ritirarsi nell’indifferentismo religioso o nella melassa natalizia, non approfondire la conoscenza di Cristo attraverso la storia della sua Incarnazione, con ciò che ne è seguito.
Per san Prospero il Vescovo lo ha sottolineato con forza e chiarezza: abbiamo un grande bisogno di Dio. E il “nostro” Dio è quello di Gesù: con Lui al collo, in casa e negli edifici di culto la Chiesa va incontro al mondo globalizzato e ai nuovi migranti, senza imporlo – ché Lo tradirebbe – ma pure senza nasconderlo, perché Lo rinnegherebbe. Pensiamoci, ogni tanto, a quella domanda del vangelo: “Quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?” (Lc 18, 8).

Edoardo Tincani