Metabolizzare in classe il fenomeno migratorio

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La prima pagina del 19 settembre

Parlare di scuola al tempo della “grande migrazione”. Viene da pensare così accostando i fatti di cronaca, italiani ed europei, al momento particolare che coinvolge ragazzi e famiglie all’inizio di un nuovo anno scolastico. Viene da riflettere, in particolare, su cosa possa dire/fare/promuovere il movimento educativo e la scuola in particolare di fronte a quello che appare un fenomeno sociale potenzialmente devastante.
Ciò che sta accadendo, in generale, in Europa e, in modo più specifico, alle sue porte mediterranee, Italia in prima fila, ma anche in Grecia e poi, sulle vie di terra, in Ungheria, ad esempio, è sotto gli occhi di tutti. Una migrazione che pare inarrestabile, fatta di uomini, donne e bambini, in fuga da situazioni insostenibili, dalla guerra e dalla povertà.
Persone che cercano asilo, lavoro, sicurezza. Speranza. Persone che non hanno paura – o semplicemente non hanno scelta – di affrontare viaggi rischiosi, di mettere a repentaglio la propria vita e quella dei familiari per fuggire da Paesi dove l’esistenza è evidentemente percepita ancora più in pericolo.
Un fenomeno, questo della migrazione, che impressiona con notizie e immagini d’effetto, che scatena sentimenti contrastanti nei Paesi “presi d’assalto”, e in fondo mette paura. Perché appare – ed è – inarrestabile e senza una soluzione immediata. In grado di destabilizzare in profondità il tessuto sociale dei territori coinvolti.
Certo, servono risposte “politiche” ad ampio raggio. Occorrono concertazione e cooperazione internazionale, tra i Paesi di accoglienza, investimento di risorse e governi coraggiosi per far fronte a quel che accade, non più rubricabile sotto la categoria dell’emergenza.
Più ancora, pare necessario un cambio di passo culturale, per evitare che siano le paure e i risentimenti a lievitare gli animi delle persone e dei popoli. Paure e risentimenti che attecchiscono con facilità e che pure sono cavalcati non di rado da persone senza scrupoli.
Non bastano le emozioni. Un bimbo morto sulla spiaggia, i gommoni o i treni presi d’assalto, il serpentone sull’autostrada per una marcia infinita verso i confini sono immagini evocative. Scuotono e commuovono, ma possono scivolare via in fretta. Invece quello che sembra più utile è “lavorare” su queste immagini, metabolizzare ciò che accade e farne occasione di un profondo lavoro culturale.
Ecco la scuola, al tempo delle migrazioni. La scuola appena ricominciata ancora una volta per tantissimi bambini, ragazzi e famiglie, può e deve affrontare l’attualità.
È il luogo deputato per una riflessione e una prassi quotidiana che mette alla prova le capacità di comprensione dei fenomeni e soprattutto di “risposta”, che può promuovere in concreto integrazione, tolleranza, apertura mentale, speranza.
La scuola non può, naturalmente, farsi carico di tutto, ma non si riesce a immaginare un luogo migliore per l’elaborazione dei sentimenti e dei pensieri, per l’educazione alla cittadinanza e alla responsabilità, collettiva e individuale, nei confronti del mondo che cambia e delle sfide che ci aspettano nei prossimi decenni.
L’anno scolastico non può non raccogliere questa “provocazione” del tempo contemporaneo e a sua volta risultare “provocatorio” per tutta la società. Sempre di buona scuola si tratta.

Alberto Campoleoni

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