A Reggio Emilia chiuse due stalle al mese negli ultimi anni

Negli ultimi 10 anni hanno chiuso a Reggio Emilia oltre 300 stalle ad un ritmo di oltre 2 al mese che sono comprese nelle 3200 aziende agricole chiuse in provincia dall’anno 2000.
«A chiudere sono state le aziende agricole più piccole – commenta Assuero Zampini, direttore della Coldiretti di Reggio Emilia – che costituivano il reticolo di presidio del territorio e guardiani dell’ambiente. Il problema è ancor più rilevante in montagna in cui la chiusura di un’azienda agricola porta con se conseguenze economiche, ambientali e sociali».

È questo quanto emerge dal dossier presentato dalla Coldiretti al valico del Brennero dove sono giunti migliaia di agricoltori per fermare i traffici di una Europa che chiude le frontiere ai profughi e le spalanca alle schifezze mentre a Bruxelles si sono mobilitati i giovani della Coldiretti per chiedere un cambiamento delle politiche europee.
Occorre fermare chi fa affari sulle spalle degli agricoltori e dei consumatori con le speculazioni sui prodotti favorite – sottolinea la Coldiretti – dalla mancanza di trasparenza sulla reale origine e sulle caratteristiche degli alimenti, che stanno provocando l’abbandono delle campagne, sulla base dei dati Unioncamere relativi ai primi sei mesi del 2015 rispetto all’inizio della crisi nel 2007.

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Il presidio Coldiretti al valico del Brennero

Sono oggi poco più di 1000 le aziende zootecniche sopravvissute a Reggio Emilia, ma se l’abbandono continuerà a questo ritmo – calcola la Coldiretti – non ci sarà più agricoltura in Italia, con conseguenze devastanti sull’economia e sull’occupazione e sull’immagine del Made in Italy nel mondo ma anche sulla sicurezza alimentare ed ambientale dei cittadini. Bisogna cambiare verso anche in agricoltura dove la chiusura di un’azienda significa – spiega la Coldiretti – maggiori rischi sulla qualità degli alimenti che si portano a tavola e minor presidio del territorio, lasciato all’incuria e alla cementificazione.
Dal latte austriaco diretto a La Spezia alle cagliate provenienti dalla Germania e dirette in Puglia, ma anche pancette fresche, con marchio non identificabile, destinate ad un’industria di salumi di Verona, e porri e altre verdure provenienti addirittura dalla Svezia e destinate ad una cooperativa in provincia di Bergamo. Queste alcune delle scoperte fatte dalla Coldiretti nelle prime ore della grande mobilitazione al valico del Brennero per la difesa del Made in Italy agroalimentare. I produttori di Coldiretti, affiancati da Polizia, Guardia di Finanza e Carabinieri dei Nas hanno già hanno ispezionato decine di camion in transito al Brennero per portare in Italia prodotti dall’estero, pronti a diventare italiani. Dalle cagliate con i colori della bandiera italiana dirette in Puglia per essere trasformate in mozzarelle – informa la Coldiretti – alle pancette fresche, con il marchio sbiadito, destinate ad una industria di salumi nel veronese, pronte ad essere stagionate per diventare italiane. Nella circostanza, il carico di pancetta è stato posto sotto vincolo sanitario da parte dei Carabinieri dei Nas che hanno effettuato il controllo.

Anche a causa della concorrenza sleale che fa chiudere le aziende agricole l’Italia – sottolinea la Coldiretti – è già costretta ad importare il 40% del latte e carne, il 50% del grano tenero destinato al pane, il 40% del grano duro destinato alla pasta, il 20% del mais e l’80% della soia. Ma l’invasione riguarda anche prodotti dove l’Italia è praticamente autosufficiente dall’olio di oliva con l’Italia che si classifica come il principale importatore mondiale per realizzare miscele di bassa qualità da “spacciare” come Made in Italy fino all’ortofrutta, dove il frutteto italiano che si è ridotto di un terzo negli ultimi quindici anni con la scomparsa di oltre 140mila ettari di piante di mele, pere, pesche, arance, albicocche e altri frutti. Senza dimenticare il settore delle carni, a partire da quelle bovine, spesso preda di traffici illeciti con l’importazione di animali privi dei necessari documenti e marchi auricolari, soprattutto dall’Est Europeo.
«A rischio per l’Italia è il primato europeo nella produzione di una delle componenti base della dieta mediterranea – commenta Vito Amendolara, presidente dell’Osservatorio della Dieta mediterranea – per il crollo dei compensi pagati agli agricoltori che non riescono più a coprire neanche i costi di produzione mentre al dettaglio i prezzi aumentano».
Domani a dare rinforzo alla mobilitazione al Brennero partirà anche la delegazione degli agricoltori della Coldiretti di Reggio Emilia.