All’alba del fotogiornalismo

Tutto sommato sono stato più fortunato di molti fra quelli che si accostano alla fotografia oggi. Alla fine degli  anni ’70, quelli del secolo scorso, e nel dirlo mi sento ancora più vecchio, ma non fa niente, in quegli anni – dicevo – quando acquistai, da Foto Emilia in piazza Gioberti, quella dell’obelisco a Reggio per intenderci, la mia prima macchina fotografica, una Mamiya MSX 1000 con la sua bella ottica intercambiabile, il panorama dei maestri della fotografia, su cui gettare lo sguardo per imparare qualche cosa, era un po’ più ristretto di oggi. La stessa cosa valeva per le riviste di settore, ricordo Reflex, essenzialmente di tecnica fotografica, Photo, dedicata al glamour e Progresso Fotografico, per me strumento fondamentale per muovere i primi passi alla scoperta dei nomi che hanno lasciato il loro segno indelebile nella storia della fotografia.

MSX1000
Mamiya MSX 1000

Henri Cartier-Bresson è stato uno di questi. Nato a trenta chilometri da Parigi nel 1908, è ricordato come il pioniere del foto-giornalismo, vale a dire quella parte della carta stampata che raccontava i grandi avvenimenti, e non solo, attraverso articoli corredati da un ampio servizio fotografico. Ce ne sono stati altri prima di lui, ma Henri sicuramente è stato un maestro in questo campo. Allora tutti gli avvenimenti che accadevano nel mondo, ma anche delle semplici storie, venivano raccontati così. La televisione c’era, ma pochi la possedevano. Della rete neanche a parlarne, non c’era quella maledetta fretta che c’è oggi di pubblicare tutto e subito.

“La gattina frettolosa ha fatto i gattini ciechi” recitavano i nostri vecchi, per cui oggi accade che il nostro vescovo diventi mons. Adriano Camisasca (Gazzetta di Reggio di qualche giorno fa), tanto non c’è nessuno che controlli e secondo me anche pochi che leggono, ma guardano solo le figure svogliatamente al bar con davanti la paste e il cappuccino, con a fianco il telefonino e davanti il viso dell’amico/a che si chiede perché mai lo hai invitato a prendere un caffè, sempre che anche lui/lei non abbia davanti giornale, cellulare e colazione.

Tutt’altra cosa allora: i reportage giornalistici venivano fatti con calma e quindi c’era il tempo di pensarli, di realizzarli e di pubblicarli. Succedeva la stessa cosa alle fotografie, anche loro venivano pensate prima di essere fatte e non come succede oggi che vengono fatte e poi guardate nel visore posto sulla macchina per decidere se tenerle o cancellarle (mi chiedo spesso che cosa ci mettano il mirino a fare nelle fotocamere di oggi). Capita allora che davanti ad un bel paesaggio o un bel monumento, insomma davanti a qualcosa che attiri la nostra attenzione, lo fotografiamo con il cellulare e poi diamo di gomito all’amico a fianco dicendogli: “Guarda come è bello!” Ma vivaddio: se ce l’hai lì davanti!

Herni-Cartier-Bresson
La copertina del libro

Torniamo a Cartier-Bresson (1908-2004), più sopra dicevo che è stato un maestro ed allora vale la pena di andare a lezione da lui. L’occasione ce la dà la lettura di: “Vedere è tutto”, edito da Contrasto per la collana “Lezioni di fotografia”.

Il testo raccoglie dodici interviste e conversazioni con il fotografo francese realizzate tra il 1951 e il 1998, gran parte delle quali, dopo la loro prima pubblicazione, non sono mai state rieditate.

Le fotografie vanno fatte con la mente, con gli occhi e con il cuore: lo diceva sempre Cartier-Bresson e ve lo ripeto oggi io.

 

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