Luciano Monari, l’amico Vescovo

La vita è un processo di accumulo progressivo di debiti verso gli altri: lo ha detto il vescovo Luciano Monari al termine della solenne concelebrazione eucaristica con la quale nel pomeriggio di domenica 10 maggio a Sassuolo – sua città natale –ha ricordato il 50° di sacerdozio e il 20° di episcopato.

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Il saluto del sindaco di Sassuolo Claudio Pistoni a monsignor Monari

 

Dall’altare allestito in “piazza piccola” dove era confluito un migliaio di persone, monsignor Monari ha ripercorso gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza trascorsi nella comunità sassolese; in particolare l’esperienza ricca ed esaltante dell’Oratorio don Basco e della “Repubblica” di cui è stato, da ragazzo, presidente. Alla festa hanno partecipato tanti dei giovani che con lui hanno condiviso l’attività oratoriale e di Azione Cattolica e gli studi. Nel suo intervento ha ricordato i genitori, gli educatori, i sacerdoti che hanno inciso nella sua formazione e alcune figure di vecchi sassolesi.

La celebrazione era stata introdotta dal parroco don Giovanni Rossi – che di “don Luciano” è stato allievo in seminario. “È fonte di gioia vivere questo momento con te nella semplicità e nella franchezza che ti hanno sempre contraddistinto. Nessuno si sente in imbarazzo con te, perché nelle tue parole si respira l’aria del Vangelo, quella Parola della quale non dobbiamo mai vergognarci, come ci ricordi il tuo stemma episcopale. Del Vangelo ti sei fatto annunciatore e testimone fin da quando ragazzino frequentavi l’oratorio. Poi, una volta prete hai insegnato ai seminaristi e ai laici l’amore per la Parola pregata meditata e soprattutto vissuta”.

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Monsignor Monari e il parroco di Sassuolo don Giovanni Rossi

 

Nell’omelia il vescovo Luciano aveva insistito sull’amore di Gesù per l’uomo e sulla conseguente necessità che ogni persona abbia un atteggiamento di vero amore, non camuffato di egoismo e di narcisismo. Inoltre, ha ribadito che è amore anche la politica se è al servizio del bene comune e dei deboli; lo sono lo studio rigoroso che distingue ciò che è vero, il lavoro, l’insegnamento; insomma, occorre tendere a quella che Paolo VI definiva la civiltà dell’amore.

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