Anche le Bcc verso una forzata capitalizzazione, o ci riescono da sole, oppure procede il Governo.
Intervista al presidente della Bcc ravennate e Imolese Secondo Ricci
Sig. Ricci il Governo Renzi ha messo mano al sistema bancario italiano, puntando a riordinare le piccole e medie imprese del Credito. Esattamente cosa vi viene chiesto come Bcc?
Per essere precisi, non è il Governo renzi, ma la Bce
Il problema resta. Perché la Bce ve lo chiede?
Perché la fase di crisi mondiale, europea in particolare, che stiamo gestendo dal 2010 in qua, produce tante sofferenze. Sono tante le imprese che non ce la fanno a restituire i soldi chiesti e finiscono per chiudere i loro bilanci in perdita. Ma le sofferenze finiscono in carico a chi presta. è così in edilizia, nel commercio, in tanti settori. E la Bce ci dice: come fate se finite capitale? Le banche nazionali e quelle partecipate da azionisti, possono chiedere al mercato di capitalizzare le proprie imprese. Le cooperative che hanno soci, ma con capitali molto piccoli, quando guadagnavano mettevano il 70% del loro utile a riserva. Adesso che non guadagnano più o sono in perdita, considerato che nel breve la crisi continua, la Bce chiede: come vi organizzate per garantire la solvibilità? L’idea è quindi quella di arrivare sul mercato finanziario, la Borsa.
Come?
Di certo non possono andare in borsa le singole Bcc. Le Popolari più grandi si trasformano in spa, ma le Bcc restano cooperative. Lo strumento idoneo è l’Iccrea, la holding che le raggruppa per i servizi e che, come capogruppo, potrebbe presentarsi sul mercato. Oggi Iccrea è partecipata solo dalle Bcc, ma le sarebbe possibile aprirsi al mercato con la garanzia incrociata fra capogruppo e singole bcc sul territorio e così, reperire risorse.
La proposta che ci è stata fatta è di razionalizzare la presenza delle Bcc salvando sui territori le realtà che sono al di sopra dei 30milioni di capitale.
In concreto, cosa potrebbe significare?
Che rimarrebbero solo 150 istituti sui 380 che esistono ora.
Tempi?
Dovremmo decidere in venti giorni, un mese. Questo è il lavoro che stiamo cercando di fare.
A chi gioverebbe?
Al sistema delle Bcc. Il fatto è che facciamo fatica perché dobbiamo cambiare mentalità. Pensiamo sempre di essere i migliori, ciascuno sul suo territorio, ma queste sollecitazioni ci obbligano a lavorare sempre più in rete.
Sulle Popolari il Governo pare non avere ostacoli. Nel mondo delle Bcc che succede? è vero che avete pochi mesi per fare una vostra proposta, diversamente dovrete seguire le indicazioni della Banca d’Italia?
Il Governo porta avanti il decreto. Poi ciascuno si sposa con chi vuole, ma se non hai il vestito adatto ti devi adeguare. In tutto questo noi contestiamo il patto di dominio: cioè la capogruppo che ti dice ciò che devi fare. Io credo che vada bene definire le regole, ma se io rispetto le regole, poi sul territorio mi muovo come mi pare. Per esempio, oggi la liquidità delle singole banche può andare alla capogruppo, ma anche ad altre banche. Per altro, invece, è giusto rafforzare il patto con la rete per tutti i servizi da fornire alla clientela. Rafforzare la capogruppo per le economie di scala va a vantaggio di tutti.
Secondo alcuni, le BCC in questi ultimi anni si sono un po’ snaturate, ovvero hanno perso il legame originario col territorio e di mutua reciprocità con il territorio di appartenenza. Cosa rispondete a questa critica? E come possono le BCC recuperare l’afflato più originario senza per questo non venire meno al confronto con l’attualità?
È un errore perdere il contatto col territorio. Chi l’ha fatto, ha sbagliato. Noi della Ravennate e Imolese abbiamo cercato di mantenere il rapporto facendo nuovi soci e coinvolgendoli nelle iniziative del territorio, partecipando ai bisogni e alle richieste che da esso arrivano. In caso di alluvione, o di terremoto, devi esserci. E il gruppo dirigente deve essere espressione dei vari gruppi organizzati sul territorio, non dei club, ma delle realtà economiche che vi operano.
La realtà delle Bcc in Italia, come in Emilia Romagna, comprende anche qualche sofferenza. Lei ritiene che sia possibile riorganizzare le varie realtà senza perdere il carattere originario dei vostri istituti di credito?
Direi proprio di si. Se perdiamo questo concetto della presenza sul territorio, del legame sul territorio, diventiamo banca di capitali e basta, come le altre. Non ha più senso e non sarebbe più come alle origini delle Casse rurali che partirono con obiettivi comuni fra chi le curava e chi se ne serviva.
Come giudica l’iniziativa del sindacato che lunedì 2 marzo intende sollecitare proprio le Bcc a fare i passi necessari per non perdere la loro fisionomia?
Credo che le preoccupazioni maggiori del sindacato siano rivolte al problema occupazionale. Uno dei problemi che abbiamo oggi sono i costi di gestione più alti rispetto ai nostri competitor sul mercato. Le dimensioni piccole non aiutano a fare economie di scala e l’intero mondo Bcc conta quasi 37mila dipendenti. è evidente che ce n’è qualcuno in più. In prospettiva è un problema da affrontare, magari con tempi lunghi e con strumenti di ‘accompagnamento’.
Attese per la ripresa?
Continuo a sostenere che vanno bene le aziende che hanno investito in innovazione e operano con l’estero. Ma dalle nostre parti, nel ravennate come nell’intera Romagna, la nostra forza sta nelle piccole e medie imprese. Tanti gli aspetti positivi, ma per andare all’estero ad esempio, o facciamo imprese più grandi o costruiamo reti di imprese. Il mercato che ieri assorbiva le produzioni era quello del nostro Paese; oggi sono i paesi emergenti
e dobbiamo andarci con i nostri prodotti, ma con una filiera più lunga. Non possiamo pensare che l’artigiano possa mandare un suo pezzo in China; o che l’agriturismo possa mandare bottiglie di vino in Cina.
E la crisi?
La crisi è già finita. Questa è la stagione che dobbiamo gestire
e cambierà solo nella misura in cui innoviamo e ci apriamo a nuove dimensioni. La spinta che ci dà il costo del denaro di questi tempi la dobbiamo investire per stimolare i consumi e investire in tecnologie. La crisi passa nella misura in cui ci impegniamo a farla passare.
Giulio Donati