L’omelia di monsignor Massimo Camisasca nella santa Messa in suffragio di don Luigi Giussani nel X° anniversario di morte.
Reggio Emilia- Basilica della Ghiara, 20 febbraio 2015
Cari fratelli e sorelle,
Cari amici,
nel X anniversario dalla morte di don Giussani desidero ricordarlo assieme a voi per il grande contributo, oggi più che mai attuale, che egli ha dato al rinnovamento della Chiesa. Don Giussani fu certamente un grande riformatore. Anche se egli non usò quasi mai questa parola, in realtà tutto l’intento della sua vita fu di rivelare la freschezza e il fascino originario della vita cristiana. Egli scoprì che il cristianesimo è un avvenimento, cioè l’incontro con una persona presente carica di un’attrattiva misteriosa capace di mutare completamente l’orientamento della vita. Chi incontra Gesù diventa uomo. Riceve un’esistenza cento volte più intensa e più vera: nel campo delle conoscenze, degli affetti, della realizzazione di sé.
Il fondatore di Comunione e Liberazione ha avuto il grande merito di mostrare – in un tempo in cui si moltiplicavano i dibattiti teologici infra ed extra ecclesiali, e intanto si ponevano le premesse della contestazione del ’68 – che il cristianesimo non è innanzitutto una dottrina o una serie di norme da seguire per meritare un premio nell’aldilà. Il cristianesimo è una vita nuova, realizzata, che comincia quaggiù, sulla terra.
La convenienza umana e la pienezza di vita che è possibile sperimentare seguendo Gesù erano continuamente al centro del suo insegnamento e della sua testimonianza. In questo senso possiamo affermare che un primo grande contributo di Giussani alla riforma nella Chiesa sia stata la sua battaglia contro l’intellettualismo, lo spiritualismo e il legalismo allora, come oggi, molto diffusi. Una lotta che egli ha combattuto attraverso l’educazione dei giovani, creando luoghi di comunione vera, dove era possibile sperimentare la stessa vita che gli apostoli avevano vissuto con Gesù, mostrando quindi la bellezza e l’umanità di Cristo e della Chiesa, suo Corpo.
Ascoltandolo commentare il Vangelo, si veniva trasportati in Palestina, sulle rive del Giordano, a Gerusalemme, nell’animo e nella mente di Gesù e degli apostoli, senza peraltro venire mai alienati dalla realtà presente. Anzi: stando accanto a don Giussani si percepiva, in modo quasi naturale, un filo diretto che legava quegli avvenimenti e la realtà presente. Il giudizio sull’attualità o sulle scelte personali o comunitarie da compiere era sempre determinato dall’immedesimazione con l’esperienza originaria del cristianesimo.
«Io non voglio vivere inutilmente: è la mia ossessione. E poi tra due amici profondi cosa si desidera? L’aspirazione dell’amicizia è l’unione, è quella di immedesimarsi, impastarsi, diventare la stessa persona, la stessa fisionomia dell’Amico: …ma Gesù è in croce… la gioia più grande della nostra vita è quella che ad ogni piccola o grande sofferenza ci fa scoprire: “ecco, ora sei più simile”, più “impastato con Lui”. La vita per la felicità degli uomini, per l’amicizia di Gesù»[1]. Sono parole che don Giussani scrive nel 1945 in una lettera ad un suo compagno di seminario. Era stato ordinato sacerdote tre mesi prima e aveva 23 anni. In questa lettera, che egli scrive mentre è costretto a letto da una malattia, si concentra tutto il suo cuore di uomo, di cristiano, di giovane sacerdote. Il desiderio di essere come Gesù, l’ardore missionario perché Egli sia conosciuto e amato, la percezione della comunione come ragione che vale qualsiasi sacrificio. Si può dire che tutta l’opera successiva di don Giussani, lo stesso movimento che da lui è nato, abbia nell’esperienza qui descritta il suo centro propulsore. “Tutto è nato dalla mia devozione al Sacro Cuore di Gesù”, ebbe a confidarmi un giorno.
Fin dagli anni di seminario il futuro sacerdote ambrosiano era stato folgorato dal mistero dell’Incarnazione, centro della storia del mondo, avvenimento che l’uomo, con tutti i suoi sforzi, non avrebbe potuto neppure immaginare. Ad esso tende ogni espressione autentica dello spirito umano, l’arte, la letteratura, la poesia, la musica, le religioni. Ad essa anelano il cuore e la ragione, l’affettività e la laboriosità umane. «Per farsi riconoscere Dio è entrato nella vita dell’uomo come uomo, secondo una forma umana […] che penetra i nostri occhi, che tocca il nostro cuore, che si può afferrare con le nostre braccia»[2]. È Gesù, la sua divino-umanità, che l’uomo cerca quando è acceso da un desiderio di bellezza, di verità, di giustizia, di bene, di libertà.
L’avvenimento del Dio incarnato, morto, risorto e presente oggi nella comunione di coloro che egli sceglie e mette assieme, illumina tutta la vita e conferisce ad essa la sua direzione. Soprattutto Gesù svela all’uomo il suo vero volto, il suo essere fatto ad immagine della Trinità e per questo destinato a compiersi solo in una comunione vissuta.
«Ciò di cui tutto è fatto è diventato uno di noi. Allora uno che lo incontra dovrebbe girare il mondo e gridarlo a tutti. Ma uno può girare il mondo gridandolo a tutti stando nel luogo in cui Cristo lo ha collocato»[3], aderendo cioè con tutto se stesso alla vocazione che Dio gli ha dato. Se dovessimo individuare un’espressione sintetica di tutta l’esperienza umana, cristiana ed ecclesiale di don Giussani, una parola attorno a cui tutto il suo insegnamento si può riassumere, dovremmo scegliere certamente la parola vocazione, vita come vocazione. Questa espressione sulle sue labbra si liberava da ogni incrostazione clericale e tornava ad essere il cuore dell’esperienza umana tout-court. «Dio mi ha chiamato dal nulla, fra miliardi di esseri possibili, Egli ha scelto, e ha chiamato me. La mia vita è costituita da quella chiamata. […] La mia vita è risposta obbligatoria a quella Voce che chiama. […] La vita è vocazione. E il senso delle cose e delle circostanze è quello di essere come parole in cui si articola il suono di quella voce ineffabile»[4]. Vocazione è dunque, innanzitutto, la vita. Ma «perché la gloria di Cristo appaia come la forma e il contenuto di tutte le cose […] c’è, operata da Dio, […] una scelta o elezione»[5].
L’adesione alla vocazione, la scoperta del proprio posto nel mondo, coincide con la propria realizzazione ed è, nello stesso tempo, la testimonianza più grande resa a Dio: gloria Dei vivens homo, la gloria di Dio è l’uomo realizzato[6].
Don Giussani è stato un grande suscitatore di vocazioni laicali, sacerdotali e religiose. Guardando a lui migliaia di giovani hanno scoperto la propria strada e molti di essi hanno letteralmente rifondato o rinvigorito ordini religiosi arrivati ormai al lumicino.
Anche in questo senso don Giussani rimane uno dei più grandi riformatori del Novecento.
Ringraziamo il Signore per il grande dono che ha fatto alla nostra vita e alla Chiesa intera con don Giussani e, soprattutto durante questa Quaresima, chiediamo la grazia di recuperare continuamente, nella conversione del cuore e nella preghiera, la comunione che il Servo di Dio ci ha insegnato a vivere.
+ Massimo Camisasca
[1] L. Giussani, Lettere di fede e di amicizia. Ad Angelo Majo, San Paolo, Cinisello Balsamo 2007, 33.
[2] L. Giussani – S. Alberto – J. Prades, Generare tracce nella storia del mondo. Nuove tracce d’esperienza cristiana, Rizzoli, Milano 1998, 24.
[3] L. Giussani, citato in A. Savorana, Vita di don Giussani, 39.
[4] L. Giussani, Vita come vocazione, in «Ora et labora», 14 (1959), 2, 2-4. Ora in L. Giussani, Porta la speranza, Marietti, Genova 1997, 164.
[5] L. Giussani, Il tempo e il tempio, BUR, Milano 1995, 14.
[6] Ireneo di Lione, Adversus Haereses, IV, 20, 7: Sch 100/2, 648-649.