Una palla di giornali malamente accartocciati: è il simbolo della campagna di comunicazione “Meno Giornali = Meno Liberi” lanciata oggi da 9 associazioni e sindacati del settore (Alleanza delle Cooperative Italiane Comunicazione, Mediacoop, Federazione Italiana Liberi Editori, Federazione Italiana Settimanali Cattolici, Federazione Nazionale Stampa Italiana, Articolo 21, Sindacato Lavoratori Comunicazione CGIL, Associazione Nazionale
Firma su Change.org la petizione-appello “MENO GIORNALI = MENO LIBERI” https://www.change.org/p/ meno-giornali-meno-liberi- petizione-per-il-governo-e-il- parlamento-italiani
Sono oltre 200 le testate non profit che rischiano di chiudere sul territorio nazionale, lasciando sul campo 3.000 posti di lavoro tra giornalisti, grafici e poligrafici. Quotidiani locali, riviste di idee, periodici di comunità, settimanali cattolici, organi di informazione delle minoranze linguistiche, ma anche giornali nazionali
di opinione.
Il paradosso è che in questo modo le cooperative e le realtà editoriali senza scopo di lucro pagheranno due volte gli abusi che si sono verificati in passato e che giustamente sono stati denunciati a più riprese: prima perché c’erano soggetti che ricevevano indebitamente i contributi, ora perché la battaglia per l’abolizione
dei finanziamenti pubblici portata avanti da alcune forze politiche rischia di farle scomparire per sempre.
I promotori ricordano invece che la Carta fondamentale dei Diritti dell’Unione Europea impegna ogni Paese a promuovere e garantire la libertà di espressione e di informazione, mentre lo Stato italiano è agli ultimi posti in Europa per l’investimento pro capite a sostegno del pluralismo dell’informazione. Un richiamo, quest’ultimo, fatto proprio anche dal Presidente Mattarella, che nel suo discorso di insediamento ha ricordato come garantire la Costituzione significhi
«garantire l’autonomia ed il pluralismo dell’informazione, presidio di democrazia».
«Senza questi giornali – scrivono i promotori nell’appello – l’informazione italiana sarebbe in mano a pochi grandi gruppi editoriali e in molte regioni e comuni rimarrebbe un unico soggetto, monopolista di fatto, dell’informazione locale e regionale. Senza questi giornali, impegnati da sempre a narrare e confrontare con voce indipendente testimonianze e inchieste connesse a specifiche aree di aggregazione sociale e culturale e ad affrontare con coraggio tematiche di particolare rilevanza a livello nazionale, l’informazione italiana perderebbe una parte indispensabile delle proprie esperienze».
Meno Giornali Meno Liberi è la campagna perla salvaguardare il pluralismo dell’informazione e per una riforma urgente dell’inter osettore dell’editoria.
Alleanza delle Cooperative Italiane Comunicazione, Mediacoop, Federazione Italiana Liberi Editori, Federazione Italiana Settimanali Cattolici, Federazione Nazionale Stampa Italiana, Articolo 21, Sindacato Lavoratori della Comunicazione CGIL, Associazione Nazionale della stampa Online, Unione Stampa Periodica Italiana promuovono la campagna “meno giornali, meno liberi”.
Il primo atto di questa campagna è il Manifesto Appello da sottoscrivere affinché possa essere più forte la nostra voce verso Governo e Parlamento per:
- fare approvare misure urgenti, tese a salvaguardare le testate di cooperative e altre realtà non profit, a rischio di chiusura a causa di tagli immotivati del contributo diretto all’editoria
- richiedere l’avvio immediato di un Tavolo di confronto sull’indispensabile riforma dell’intero sistema dell’informazione (giornali, radio, tv, internet)
Oltre 200 giornali rischiano oggi, se non interverranno il Governo e il Parlamento con misure urgenti e adeguate, la definitiva chiusura. Una chiusura che sarebbe di straordinaria gravità per un Paese democratico.
- Senza questi giornali l’informazione italiana sarebbe in mano a pochi grandi gruppi editoriali e in molte regioni e comuni rimarrebbe un unico soggetto, monopolista di fatto, dell’informazione locale e regionale.
- Senza questi giornali, impegnati da sempre a narrare e confrontare con voce indipendente testimonianze e inchieste connesse a specifiche aree di aggregazione sociale e culturalee ad affrontare con coraggio tematiche di particolare rilevanza a livello nazionale, l’informazione italiana perderebbe una parte indispensabile delle proprie esperienze.
Le conseguenze sociali ed economiche di queste chiusure?
- perdita di più di 200 voci libere dell’informazione
- perdita di 3.000 posti di lavoro tra giornalisti,grafici e poligrafici, con una forte ricaduta negativa per l’indotto (tipografi, giornalai, distributori, trasportatori) e per le economie locali nel loro complesso
- 300 Milioni in meno di copie di giornali distribuite ogni anno in Italia
- 500 mila pagine di informazione in meno ogni anno
- milioni di articoli, post prodotti, e contenuti digitali in meno ogni anno
Inoltre per lo Stato:
- aumento dei costi per gli ammortizzatori sociali per i lavoratori dipendenti
- minori entrate fiscali
Si può dimostrare che, in caso di chiusura di tante testate, i costi per lo Stato sarebbero largamente superiori al valore del Fondo per il contributo diretto all’Editoria, individuabile, per il 2015, in circa 90 milioni di euro.
La Carta fondamentale dei Diritti dell’Unione Europea impegna ogni Paese a promuovere e garantire la libertà di espressione e di informazione: lo Stato Italiano è, oggi, però, agli ultimi posti in Europa per l’investimento pro capite a sostegno del pluralismo dell’informazione. L’investimento attuale è, infatti, pari ad una cifra irrisoria del Bilancio dello Stato.
Aderendo a questo Appello rivolto al Parlamento e al Governoogni cittadino:
- può dare il proprio sostegno alla continuazione di testate libere da condizionamenti proprietari, gestite, senza fine di lucro e secondo criteri di trasparenza ed efficienza, da gruppi di giornalisti indipendenti, senza alcun apporto di capitale esterno in grado di condizionarne l’attività editoriale.
- Può partecipare, tramite il blog https://www.menogiornalimenoliberi.it alle proposte in discussione relative ad alcune linee fondamentali da suggerire al Governo e al Parlamento per la Riforma del settore