Sandro Spreafico ripercorre la vita di don Dino Torreggiani

Don Dino, “il prete dei poveri, degli ultimi, dei circensi,degli zingari, dei carcerati”: così è conosciuto e ricordato, non solo in diocesi, mons. Torreggiani, certamente una delle figure più carismatiche del presbiterio reggiano del sec. XX.
Di questo “avventuriero della carità, come lo definì il vescovo Gilberto Baroni nell’omelia della messa esequiale celebrata in Duomo il 4 ottobre 1983, è in corso la fase diocesana del processo di beatificazione.

don dino torrNon è facile enumerare gli ambiti pastorali in cui con tanta generosità ha operato don Dino, nato a Masone nel 1905, ordinato sacerdote nel 1928 e morto in Spagna nel 1983.
Don Dino è stato assistente diocesano dei giovani di Azione Cattolica, direttore del Pio Istituto Artigianelli, parroco di Santa Teresa, responsabile dell’Oratorio Cittadino “Don Bosco” in San Rocco per i giovani e i militari, fondatore dell’Istituto dei Servi della Chiesa, assistente nazionale degli operatori dello spettacolo viaggiante; amico accogliente e premuroso dei carcerati, degli scarcerati e dei più bisognosi, per i quali aprì la casa all’Isola Passatore e poi di via dell’Abate in città; animatore del diaconato; insegnante di religione all’Istituto Secchi, autore di monografie di preti reggiani che hanno dedicato la vita ai poveri.

Copertina-don-dino
La copertina del libro

Minuto fisicamente è stato un vero gigante della Chiesa: ha saputo leggere con preveggenza i segni dei tempi; per alcuni versi ha perfino anticipato il Concilio Vaticano II: è stato proprio grazie alla sua opera se il diaconato permanente è rinato in Italia e all’estero e nella Chiesa reggiano-guastallese ha avuto tanto slancio. Così come fondamentali sono stati i suoi apporti, anche a livello politico, per assicurare l’assistenza, spirituale e non solo, ai carcerati e agli emigranti. Notevoli e frequenti i suoi contatti con Paolo VI.Ma del fondatore dei Servi della Chiesa, l’Istituto riconosciuto dal vescovo Beniamino Socche il 19 marzo 1948 – festa di San Giuseppe, l’ “economo” dell’Istituto come don Dino lo definiva – mancava un biografia che di questo sacerdote mettesse in luce adeguatamente il percorso di formazione, illustrasse l’operosità instancabile, presentasse la poliedrica azione pastorale, ripercorresse puntualmente i 55 anni di generosa vita sacerdotale, individuasse l’apporto alla storia della Chiesa reggiana e italiana, delineasse l’incidenza avuta su tanti laici e sacerdoti.

A questa meritoria impresa si è dedicato il prof. Sandro Spreafico che nel volume “Il calice di legno”, edito da Il Mulino, ha ricostruito la vicenda umana e sacerdotale di don Dino inserendola, attraverso un’attenta consultazione di documenti d’archivio e di memorie, nel coevo contesto ecclesiale e civile.
Il titolo riprende una frase spesso usata da don Dino: “calici di legno, preti d’oro” e che ben compendia la concezione che don Dino aveva del presbitero: preti poveri, Chiesa povera che decide l’opzione per i poveri e fa una scelta di povertà.
Nel sottotiolo, “Dino Torreggiani e la sua Chiesa”, Spreafico ha voluto indicare che il libro non è solo una biografia, ma contiene anche la storia dei tanti collaboratori di mons. Torreggiani e soprattutto della Chiesa reggiana del XX secolo di cui è figlio e contemporaneamente riformatore del tutto ortodosso. “nihil sine episcopo”affermava. Ma delinea anche la Chiesa che sognava contraddistinta dalla valorizzazione dei laici, dei carismi, del diaconato.
È un’opera solida e impegnativa, come è nello stile di Spreafico: 776 pagine dense di testo – articolato in 39 capitoli – con un ricchissimo apparato di note e un interessante corredo iconografico.
Un volume che ben enuclea di don Dino il suo grande ideale: “il sacerdozio secolare con i voti religiosi”; la sua grande sete: “le anime, le categorie abbandonate”; il suo grande amore: “la Chiesa”; la sua grande forza: “la fiducia nella Provvidenza”; la sua passione: “vocazioni ecclesiastiche e vocazioni secolari e laicali”.
Un’opera storiografica necessaria che fissa e tramanda la figura di un prete, la cui eredità spirituale è ancora viva e capace di dare frutti.

Giuseppe Adriano Rossi



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