Pubblichiamo, come eco dell’articolo a firma di don Giuseppe Dossetti comparso su “La Libertà” del 26 luglio 2014 a pagina 3, questo contributo a firma di Cristian Ruozzi tratto dal numero 4 (Avvento – Natale 2013) di “Mille Anni”, organo di formazione e informazione dell’unità pastorale di San Faustino, Fontana e Sant’Agata di Rubiera.
Le sue ultime parole sono state: “Oh Dio mama!” Non era una bestemmia. Era la reazione di un essere umano di fronte ad una realtà “altra da sé”. Non poteva fare nulla, soltanto invocare Dio e sua madre. Istintivamente le avrà pronunciate in dialetto reggiano, la lingua che conosceva. Le esclamò Flaminio Ruozzi alle ore 12 circa del 1 giugno 1916 a Rudero presso il Monte Sabotino, quando “fu colpito a morte” durante un bombardamento e morì quasi immediatamente. Era di Gazzata, aveva 21 anni ed era un semplice fante inquadrato nell’11^ Compagnia del 78° Reggimento.
Nel 2014 inizieranno in tutto il mondo le commemorazioni per il centenario dello scoppio della Grande Guerra. Gli storici e gli appassionati di storia hanno già iniziato a ristudiare documenti e reperti per comprendere ancor meglio le cause e le conseguenze della Prima Guerra Mondiale.
Per i sanfaustinesi sarebbe l’occasione per ricordare Geminiano Cadoppi, Serafino Ferraboschi, Erminio Grisendi, Anselmo Ruggerini ed Ettore Varini; i “ragazzi del ’99” Rainero Mussini, Dante Casali e Vincenzo Borghi, oppure Luigi Vezzani l’ultimo Cavaliere di Vittorio Veneto (deceduto nel 1996); per riscoprire perché a San Faustino non si realizzò un monumento alla memoria dei caduti e dei dispersi ma una semplice e piccola lapide – posta a sinistra dell’altare – nella cappella del cimitero; per approfondire la storia del quadro raffigurante l’apparizione della “Madonna della neve”, all’interno dell’oratorio omonimo della famiglia Pecorari; per citare le persone (anche bambini) decedute a causa dell’influenza “Spagnola”, durante la pandemia del 1918-20. Inoltre per studiare come si continuava a vivere e a praticare l’agricoltura a San Faustino senza i giovani e gli uomini impegnati “per la più grande Italia”.
Fare storia, cercare di fare storia, significa anche evidenziare le continuità che permangono, pure a distanza di anni e di secoli, dal passato al presente. In questa occasione vorrei riprendere alcune situazioni caratterizzanti la Grande Guerra e porre in evidenza come esse siano tuttora presenti nella nostra realtà. Una realtà ancora alle prese con difficoltà economiche, sociali e morali.
Allo scoppio della Guerra, il 24 maggio 1915 fino al 9 novembre 1917, sino alla “dodicesima Battaglia dell’Isonzo”, dopo oltre un milione di vite umane (fra tutti gli schieramenti), inutilmente trucidate, apparve evidente la valida preparazione militare degli ufficiali inferiori, mentre quella degli alti ufficiali risultò drammaticamente “patetica e risibile”. Ma da dove provenivano questi ufficiali superiori? Provenivano dalla nobiltà, e dall’alta borghesia, persone più impegnate al prestigio e alla carriera piuttosto che esercitare una reale ed efficace capacità di leadership. Le cariche si tramandavano da padre in figlio e le strategie militari rimasero quelle delle guerre risorgimentali. Ci vollero migliaia e migliaia di vittime italiane (tra le quali Flaminio e i giovani sanfaustinesi) ed una umiliante disfatta per spingere ad un ricambio di persone e di concezioni militari, logistiche, produttive e culturali.
Ed oggi? Quante vittime reali (suicidi ed omicidi), nuovi poveri e persone pesantemente indebitate ci sono – e stanno aumentando – perché si è accettato un modello economico testardamente e ciecamente orientato ad un profitto monetario? Si è lasciato che la classe dirigente politica, economica e culturale si perpetuasse da padre in figlio oppure tra persone legate da rapporti di dipendenza (attraverso le raccomandazioni e le apparenze) piuttosto che le reali capacità imprenditoriali, gestionali e di controllo, le quali non necessariamente si trasmettono geneticamente.
Durante lo svolgimento del primo conflitto mondiale, a fronte dell’inefficienza e inettitudine degli alti comandi, si sono ottenute vittorie grazie al senso del dovere, alla scaltrezza o alla paura di essere fucilati come disertori, di moltissimi soldati semplici (fanti) che senza istruzione e spesso senza riuscire a parlare e capire la lingua italiana, caparbiamente cercavano di conquistare metri di rocce e sassi.
E oggi? Quante aziende o uffici riescono a portare avanti attività e fornire servizi nonostante l’assenteismo e la scarsa produttività causata da molteplici fattori? Grazie al semplice impiegato o operaio che, non facendosi condizionare dalla situazione, facendo bene il proprio lavoro consente di continuare a produrre e a erogare servizi nonostante bassi compensi e scarsi riconoscimenti.
Gli imboscati e i raccomandati, nel corso della Grande Guerra erano coloro che, per i più svariati motivi, riuscivano a svolgere mansioni molto sicure in luoghi dove il vitto e l’alloggio erano migliori ed assicurati, al contrario di altri che erano adibiti a posizioni molto rischiose e in situazioni disumane (ad esempio i soldati di prima linea e coloro che erano confinati nelle trincee). Erano coloro che usando molteplici stratagemmi mantenevano il loro status, utilizzando i beni che dovevano gestire o distribuire per ricompensare coloro che li lasciavano indisturbati.
Ed oggi? Quanti, grazie a parentele, amicizie e “bustarelle” ricoprono ruoli o funzioni per le quali non sono predisposti o competenti e svolgono in modo improduttivo o addirittura antieconomico il loro lavoro?
I soldati in prima linea sapevano che alla sera se venivano riforniti abbondantemente di brandy, anice o grappa, significava che dopo poche ore dovevano uscire dalle trincee al grido di “Avanti Savoia!”. I soldati lo sapevano e nonostante questo s’inebriavano e ubriacavano ugualmente perché se fossero stati nel pieno delle loro facoltà non sarebbero mai balzati all’assalto “all’arma bianca” (con la baionetta innestata sul moschetto 1891 con poche bombe a mano e pacchetti di cartucce) vedendo, di fronte a loro, sequenze di fitti reticolati di filo spinato, con i cecchini, le mitragliatrici e i lanciafiamme ben piazzati e protetti. Erano consapevoli di avere pochissime probabilità di sopravvivere ma moltissime di rimanere feriti ed agonizzanti colpiti da pallottole o spezzoni di bombe.
Ed oggi? Sono consapevoli coloro che si recano quotidianamente a giocare ai giochi d’azzardo, nelle diverse tipologie e modalità, con la speranza di vincere e riuscire a pagare debiti, oppure mantenersi perché disoccupati? Sono consci che è molto più probabile perdere quei soldi piuttosto che vincere? Sanno che molto spesso quelle “macchinette” sono truccate o non legali perché “scollegate” ai sistemi di controllo statale? Sanno che mentre loro si impoveriscono (incolpando soltanto la sfortuna) determinano la stra-ricchezza di pochi gruppi legali e molto spesso illegali? Molti fanti sapevano cosa significasse bere quell’alcol, per di più mal distillato. Lo sanno coloro che ogni giorno nelle edicole, nei bar e nei locali da gioco si recano a giocare come fosse il loro lavoro?
Erano chiamati “pescecani grossi e piccoli” coloro che grazie al loro ruolo o situazione professionale ne approfittavano lucrando su forniture o commesse. Tutto questo si ripercuoteva sul fronte con l’arrivo di armi difettose, vestiario scadente, cibo e vettovaglie insalubri e scarse. C’era chi si arricchiva velocemente ed in modo esponenziale e chi moriva “semplicemente” perché s’inceppavano i moschetti, perché congelava (morte bianca), moriva di stenti o malattie per scarsa igiene o per alimenti avariati.
Ed oggi? Quante industrie o imprese hanno percepito contributi o commesse e realizzano beni e servizi di scarsa qualità? Oppure riescono persino a non produrli. Quanti scientificamente fanno in modo che le loro aziende o le aziende per le quali lavorano “vadano male”, per scarsa produttività o risultino “in passivo” per ricevere contributi o agevolazioni? Oppure “scaricare” sul sistema assistenziale (welfare) italiano i lavoratori licenziati? Cosa dire dei falsi invalidi, degli evasori parziali o totali?
Alcune volte non è necessario un terremoto per verificare la buona realizzazione di un fabbricato o di un’opera, è sufficiente un forte acquazzone. Ma è meglio (per gli amministratori locali) classificarlo ufficialmente “un evento eccezionale perché è stato tutto realizzato a norma di legge!”.
Questi fattori associati a molti altri determinarono il 24 ottobre 1917 la catastrofica “rotta” di Caporetto. Gli altri fattori hanno contribuito a determinare, nel 2008, la grande crisi che sta colpendo pesantemente l’Italia e le impediscono di uscirne.
L’Italia, grazie ad un rinnovamento e all’aiuto degli alleati riuscì a vincere in quell’“inutile strage” il 4 novembre 1918. Oggi dobbiamo essere consapevoli che sappiamo quali sono le reali ed efficaci modalità per uscire dalla crisi. Sappiamo che non è attraverso la rivoluzione ma con un tangibile rinnovamento civile, economico e culturale. Chi promette “la terra ai contadini!” e che la politica e l’economia si rinnovano con le stesse persone o con i loro figli e “figliocci” è soltanto il “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Sappiamo che la terra ai contadini non è stata data dal 1919 ma soltanto dal 1964.
Papa Francesco ha ritenuto utile non ripartire dalla dottrina ma… dallo IOR e dalla Curia.
Cristian Ruozzi