“Ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua”. L’autore di questa frase, facilmente riconoscibile per lo stile diretto a cui ci sta abituando, è Papa Francesco, quasi all’inizio (al numero 6) di un’Esortazione apostolica – la Evangelii gaudium – indirizzata ai fedeli cristiani “per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni” (n. 1).
La gioia di evangelizzare è il tema dominante di questo documento: non un’euforia passeggera, ma la radice della “trasformazione missionaria della Chiesa”, come si legge fin dal titolo del primo capitolo.
[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]A[/dropcap]bbiamo ripreso il testo di Papa Francesco, segnatamente i numeri dal 34 al 49, insieme al Vescovo.
Monsignor Camisasca, come commenta questo primo capitolo della “Evangelii gaudium”?
Mi sembra che la parola chiave sia missione: la Chiesa è chiamata ad avere una forma missionaria, cioè deve concepire se stessa come continuità della missione del Padre che manda il Figlio e del Figlio che manda lo Spirito.
Missione vuol dire andare verso gli uomini, dunque non è indifferente il modo della comunicazione. Il Papa vuole dirci qual è il cuore del messaggio di cui dobbiamo essere portatori. Non è soltanto ciò da cui dobbiamo partire, ma anche ciò che di più importante abbiamo da trasmettere ad imitazione di Gesù.
Imitare Gesù è lo scopo che la Chiesa si propone da duemila anni. Qual è la “novità” di Papa Francesco?
La sua preoccupazione fondamentale è manifestare il cuore del messaggio di Gesù Cristo e non dare per scontato che i nostri interlocutori lo conoscano, perché è il cuore di questo messaggio che gli conferisce senso, bellezza e attrattiva.
“L’annuncio, dunque, deve concentrarsi su ciò che è essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente, più necessario» (n. 35). Di cosa si tratta? È sempre Papa Francesco a rispondere, poco dopo (n. 36) “La bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto”.
Nell’annuncio della “grande bellezza” del cristianesimo, tuttavia, viene il momento in cui la carità va coniugata con la verità. E qui spesso sorgono problemi o incomprensioni…
Il Papa non vuole nascondere nessuna verità cristiana, è consapevole che c’è un cammino dalla fede alla carità e quindi dalla fede alla vita morale, ma vuole che la persona sia messa in condizione di incontrarsi con il cuore incandescente della proposta di Cristo. È da questo cuore che possiamo poi comprendere ed entrare in tutte le altre verità proposte dal cristianesimo. Non c’è una negazione delle altre verità, anzi, il Papa afferma esplicitamente che tutte le verità rivelate procedono dalla stessa fonte divina e sono credute con la medesima fede, ma occorre una chiave per poterle accostare altrimenti, disarticolate, perdono il loro significato.
Si deve cioè procedere dal generale – il cuore del messaggio – al particolare dei singoli precetti?
Sappiamo che tutte le verità sono unite fra di loro e che, in fondo, potremmo partire da ciascuna per mostrare tutto quanto il cristianesimo, ma questa unità sistematica delle verità cristiane, che è la passione e il campo di ricerca di chi approfondisce la teologia cristiana, in realtà non può essere il punto di partenza del nostro annuncio e della nostra catechesi. Il punto di partenza è la manifestazione dell’amore salvifico di Dio. In questa affermazione del Papa leggo una critica a una metodologia catechistica del passato che rimarca, quasi con spirito totalizzante, alcuni comandamenti a scapito di altri.
Al numero 39 il Papa dice che non bisogna mutilare l’integralità del messaggio del Vangelo, e che non possiamo ridurlo ad alcuni accenti dottrinali o morali che procedono da opzioni ideologiche. Per esempio, ha commesso questo errore di prospettiva chi ha sottolineato in modo indebito i peccati contro il sesto comandamento, facendo della sessuofobia il cuore del cristianesimo, oppure chi, altrettanto indebitamente, ha evidenziato l’aspetto di Gesù liberatore in chiave politica.
Annunciando un cristianesimo semplice, però, non c’è il rischio di presentarlo anche, in qualche modo, “semplificato”?
Il Papa non vuole cercare in questo modo il consenso del mondo. È illuminante quando (al n. 49) scrive: “Non potremo mai rendere gli insegnamenti della Chiesa qualcosa di facilmente comprensibile e felicemente apprezzato da tutti. La fede conserva sempre un aspetto di croce”.
Ci invita a puntare su questa “sostanza”, su questo centro infuocato dell’evento di Cristo, non perché così otterremo consenso e tutti ci seguiranno, ma per fedeltà al Vangelo e alla missione di Cristo.
Da questo punto di vista è interessante notare che il Papa, mentre da un lato ci invita ad “uscire”, ad andare verso le periferie del mondo e dello spirito, dall’altro ci inviti ad “entrare”, a concentrarci sul cuore del cristianesimo: su Gesù Salvatore.
Si può uscire solo in quanto si è ben saldi nel centro, si può andare solo in quanto si rimane. È il tema antico e sempre nuovo dell’unità di azione e contemplazione che trova nella vita di Gesù con gli apostoli la sua sintesi più alta. È questo il cuore del Vangelo che il Papa ci invita a guardare: la «comunione missionaria» di Gesù con gli apostoli (cfr. n. 23).
Sono dunque due i fuochi dell’ellisse che il Papa ci sta indicando. Considerarne solo uno, sottolinearne solo uno a scapito dell’altro vuol dire tradire o strumentalizzare il suo messaggio.
Forse la semplificazione del messaggio, allora, viene fatta dalla libera estrapolazione dei pensieri del Papa…
Non dobbiamo pensare di avere già capito cosa il Papa dice, perché Bergoglio è un uomo che viene dal Sud del mondo e per entrare nella sua mentalità abbiamo bisogno di molto tempo.
Sta indicando un cammino di cambiamento alla Chiesa ed è in questo cammino che dobbiamo entrare con molta umiltà, senza decostruire tutto quello che abbiamo fatto ma, con lui, riformulandolo nel tempo, in modo da poter raggiungere gli uomini e le donne di oggi.
Un anno dopo, qual è il suo giudizio sul pontificato di Papa Francesco?
L’elezione di papa Bergoglio, come evento storico, è paragonabile alla scoperta dell’America.
Con la scoperta colombiana dell’America un uomo del nord è andato a sud del mondo e ha guardato il sud con gli occhi del nord. Adesso è un uomo del sud che viene al nord e ci fa guardare a tutta la Chiesa con gli occhi del sud. Quindi siamo chiamati ad entrare in una nuova prospettiva. E vi si entra lentamente. Non dobbiamo fare dei suoi testi un ricettario, estrapolando ora questa ora l’altra frase, ma dobbiamo cercare cosa vuole comunicarci in profondità.
Il rischio che molti cristiani corrono è di guardare al Papa con i criteri del mondo, delegando la propria conoscenza di lui e del suo messaggio alle interpretazioni – che sono spesso anche manipolazioni – che ne fanno i giornali, la Tv e Internet.
Occorre, invece, meditare ciò che il Papa dice nella sua integralità, chiedere nella preghiera di entrare personalmente e umilmente in quel processo di conversione che la sequela di Gesù chiede in ogni tempo.
E non dimentichiamoci, come egli stesso ha chiesto, di pregare ogni giorno per il Papa e per il suo grande e delicato ministero.
Edoardo Tincani