Antipedofilia, obbligo di certificato per chi? Il parere dell’Osservatorio giuridico

Il 6 aprile scorso è entrato in vigore il Decreto legislativo, recante norme per l’«Attuazione della direttiva 2011/93/UE relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI». Numerose diocesi hanno chiesto un parere circa l’ambito applicativo della disposizione appena richiamata, con particolare riferimento alla condizione e all’attività degli enti ecclesiastici.

L’ Osservatorio giuridico-legislativo ha recentemente espresso un parere su tale decreto:

Prime valutazioni circa la portata applicativa dell’art. 2 del D.lgs. 4 marzo 2014 n. 39

 

L’art. 2 del D. lgs.. 39/2014 cit. introduce alcune modifiche al d.P.R. n. 313/2002, in particolare prevedendo l’inserimento dell’art. 25 bis, che così recita:

“1. Il certificato penale del casellario giudiziale di cui all’articolo 25 deve essere richiesto dal soggetto che intenda impiegare al lavoro una persona per lo svolgimento di attività professionali o attività volontarie organizzate che comportino contatti diretti e regolari con minori, al fine di verificare l’esistenza di condanne per taluno dei reati di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quinquies e 609-undecies del codice penale, ovvero l’irrogazione di sanzioni interdittive all’esercizio di attività che comportino contatti diretti e regolari con minori.

2. Il datore di lavoro che non adempie all’obbligo di cui all’articolo 25-bis del decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre, n. 313, è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da euro 10.000,00 a euro 15.000,00”.

[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]N[/dropcap]umerose diocesi hanno chiesto al nostro Osservatorio giuridico-legislativo un parere circa l’ambito applicativo della disposizione appena richiamata, con particolare riferimento alla condizione e all’attività degli enti ecclesiastici.

All’esito di un primo esame, sembra possibile in via di interpretazione prospettare la seguente lettura.

La formulazione del primo comma, pur ispirata all’esigenza condivisa di evitare che soggetti già condannati per specifici reati ai danni di minori siano “lavorativamente” a contatto con i minori stessi,  in ragione del suo tenore letterale suscita tuttavia alcune incertezze interpretative e potrebbe comportare notevoli difficoltà applicative.

Decisiva ai fini di un corretto inquadramento pare l’interpretazione dell’espressione “impiegare al lavoro”. Al riguardo, sembra potersi ritenere che tale espressione escluda dall’ambito di applicazione della norma tutta una serie di rapporti che non possono propriamente qualificarsi come lavorativi e che trovano frequente riscontro nell’ambito degli enti ecclesiastici, quali ad esempio quelli che coinvolgono i soggetti impegnati nelle attività di catechesi ovvero di educazione cristiana e simili.

In senso contrario, non sembra valere il rimando alle “attività volontarie organizzate”, in quanto anche rispetto a tali attività sussiste la necessità di un rapporto lavorativo quale presupposto per l’insorgenza dell’obbligo a carico del soggetto “datore di lavoro” (espressione, quest’ultima, significativamente utilizzata tanto nell’art. 10, n. 2 della direttiva 2011/92/UE quanto nell’art. 25 bis, comma 2 del D. lgs. N. 39/2014).

Naturalmente, l’assenza di un obbligo giuridico in senso stretto non esclude la possibilità/opportunità di richiedere ugualmente anche in tali ipotesi il certificato penale del casellario giudiziario.

Altra questione di rilievo è se l’obbligo in questione riguardi i soli rapporti “costituendi” o si estenda anche a quelli già costituiti. La portata dell’espressione “soggetto che intenda impiegare al lavoro” non è chiara; da un lato, su un piano logico e letterale si potrebbe ritenere che l’adempimento riguardi entrambi tali tipi di rapporto; dall’altro lato, alcuni indici testuali inducono a ritenere (o comunque sembrano non escludere la possibilità) che detta espressione possa essere interpretata nel senso di limitare tale obbligo solo ai rapporti “costituendi” (cfr. in tal senso considerando n. 40 e art. 10, n. 2 Direttiva 2011/92/UE).

 

 

 

 

 

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