Non potremo non dirci africani – Alla conferenza sull’Africa organizzata a Reggio Emilia, l’analisi economica e geopolitica di Paolo Sannella e Romano Prodi

– da “La Libertà” n. 10, del 15 marzo 2014 –

Se circa 800 reggiani, dando per buona la stima finale del deus ex machina don Giuseppe Dossetti, scelgono di saltare l’ora di cena per seguire una conferenza sull’Africa negli spazi – l’auditorium principale e altre sale videocollegate – del Centro internazionale Loris Malaguzzi di Reggio Emilia, significa che l’idea coglie nel segno.
Buon per gli organizzatori, certamente, cioè per la Fondazione Solidarietà Reggiana che sostiene il CeIS e i due partner dell’evento, l’Università di Modena e Reggio Emilia e la Fondazione Reggio Children. Ma buon segno soprattutto per la ricezione della “sfida decisiva per il nostro futuro” di cui parla il titolo della serata del 6 marzo, affollata da politici e amministratori ma anche da uomini di Chiesa: nelle prime file siedono il vescovo saveriano Giorgio Biguzzi, fino al 2012 impegnato nella diocesi di Makeni, in Sierra Leone, e il Vicario generale della Chiesa reggiano-guastallese, don Alberto Nicelli.

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[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]T[/dropcap]ra i fattori che insaporiscono l’appuntamento, indubitabilmente, c’è anche il tributo affettivo che molti dei presenti desiderano rendere all’ex presidente del Consiglio e della Commissione Europea (e “mancato” presidente della Repubblica) Romano Prodi, attualmente Inviato speciale dell’Onu per il Sahel. Ma il cuore dell’incontro rimane l’esplorazione del rapporto, ancora in gran parte inespresso e ricco di potenzialità, tra l’Italia – e Reggio Emilia in particolare – e il Continente che assembla 54 Stati assai diversificati ma accomunati da una forte base culturale e identitaria. Il primo relatore a intervenire è l’ambasciatore Paolo Sannella, presidente del Centro Relazioni con l’Africa della Società Geografica Italiana, chiamato a rispondere – sostanzialmente – alla domanda chiave: “Cos’è l’Africa oggi?”. È un quadro vasto e complesso, è la prima risposta: dopo “appena” mezzo secolo l’Africa sembra uscita dalle pesanti crisi della decolonizzazione e della costruzione delle identità statuali ed economiche, tant’è vero che da alcuni anni la stampa internazionale e specializzata parla di un cambio di marcia e di un autorevole ingresso nell’era degli scambi globali. Un nuovo Eldorado, insomma, di cui pare finalmente essersi accorto anche il (penultimo) governo del nostro Paese, con i pronunciamenti del ministro Bonino. E recentemente l’Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) ha tracciato nell’aiuto alle fragilità istituzionali degli Stati africani e nella “diplomazia della crescita” i nuovi orientamenti per la politica italiana.

[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]M[/dropcap]algrado le buone intenzioni, tuttavia, in Italia l’Africa resta ancora “incognita” per molti ambienti nostrani, dal mondo degli affari a quello accademico. “Urge porre rimedio a questo ritardo – scandisce Sannella – se non si vuole restare tagliati fuori da questa straordinaria rivoluzione”.
Il fatto è che dalle nostre parti si intrattengono fitte relazioni con una piccola porzione del Continente, giusto i Paesi dell’Africa mediterranea, tutti più o meno attraversati dalle “primavere arabe” ma anche travolti dalla crisi libica. Ma la geopolitica, o almeno quella che ha l’approvazione di Sannella, ci consegna altre due fasce di proporzioni immense. La prima è quella che si estende dal Senegal alla Somalia, con l’aggiunta di Nigeria e Camerun: i grandi Paesi del deserto, ove la popolazione aumenta insieme alla povertà e stridono anche le differenze culturali interne, fomentate da gruppi islamici estremisti che accendono focolai di guerra, come dimostrano i casi del Mali e della Repubblica Centrafricana. L’altra fascia è l’Africa nera, subsahariana: un’area in pieno sviluppo, da cui l’Europa, senz’altro l’Italia, è lontana in tutti i sensi.
Sempre più commentatori parlano di un’Africa “on the rise”, in crescita. Ma la crescita, specifica Paolo Sannella, va analizzata sotto tre angolature: demografica, economica e politica. La popolazione complessiva cresce a ritmi impressionanti anche se la natalità media è in flessione, grazie ai programmi di assistenza alle madri e all’infanzia. La prospettiva per il Continente, così, è quella di passare dall’attuale miliardo approssimato di abitanti (erano 300 milioni cinquant’anni fa) ai due miliardi del 2060.

[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]D[/dropcap]al punto di vista economico, poi, i tassi di crescita della ricchezza-Paese viaggiano in media tra il 5 e l’8%: dopo le “tigri” asiatiche, avverte l’ambasciatore, prepariamoci a fare i conti con i “leoni” africani, complici i prezzi in aumento delle materie prime e i sempre più robusti investimenti dall’estero, con Cina, India, Brasile e Stati Uniti a guidare la nuova corsa all’oro, che oggi è anche il settore agroalimentare.
Le interconnessioni tra la vecchia Europa e “questa” Africa diventeranno vieppiù intime e serrate. Con un monito-thriller: se la crescita economica e politica del grande Continente non basterà ad assorbire quella demografica, vedremo nei prossimi decenni concentrarsi sull’Europa una pressione enorme e crescente di migranti in cerca di speranza.
Senza contare che l’Africa dovrà dimostrare di saper preservare le sue riserve naturali, altrimenti assisteremo anche a disastrosi esodi di profughi climatici.
Degli aspetti politici dell’Africa parla soprattutto Romano Prodi: “Se pensiamo ai problemi che ha l’Italia unita dopo 150 anni, non stupiamoci di quelli africani dopo solo 50 anni dalla decolonizzazione”. Molti dei conflitti che permangono sono una conseguenza dell’eredità coloniale, di quei confini tracciati di prepotenza con il righello e ignorando che la struttura sociale cardine, in Africa, è la tribù. Comunque pure la politica sta crescendo. A suo modo, perché la democrazia in Africa cammina con le sue gambe e non si può supporre di esportarla con le armi, come la storia recente dovrebbe avere rammentato.
Mutano anche i rapporti internazionali, e Prodi si sofferma sulla tensione finanziaria che condiziona sempre di più gli Usa e sulla strategia di esportazione di “tutto” (capitali, cose, persone e tecnologia) attuata dalla Cina, con una velocità di decisione impressionante.

Prodi Romano - Reggio Emilia - conferenza sull'Africa

[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]“N[/dropcap]on pensiamo che l’Africa sia un giardino”, precisa a un certo punto il relatore: un terzo della popolazione continentale vive con meno di un euro al giorno. Tuttavia è in corso una sorta di fermentazione africana: da una popolazione sempre più giovane (in Niger l’età mediana è 17 anni, contro i 44 dell’Italia), intraprendente e urbanizzata sta emergendo rapidamente una classe media influente, sempre più capace di autogoverno e di espressioni mature di indipendenza, nonché di consumi importanti, pur in presenza di squilibri e ingiustizie nella distribuzione della ricchezza.
Considerando che solo quattro Paesi (Egitto, Nigeria, Sud Africa e Etiopia) hanno un mercato interno sufficientemente esteso, l’Africa ha ancora un grande bisogno dell’aiuto e della cooperazione internazionale. Peccato che l’Italia, che brilla per la presenza di medici e “alfabetizzatori” volontari, sia quasi latitante sul piano degli scambi culturali e commerciali.
“Spero che torniamo a essere un popolo di navigatori… eroi non lo so!”, è la battuta conclusiva di Prodi.

[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]P[/dropcap]oi è la volta delle domande e degli interventi giovani dal pubblico. Una sola impressione: nel suo piccolo, Reggio Emilia intende giocare un ruolo attivo in questo scenario rivoluzionato. Mentre in patria attendiamo ancora di agganciare il treno della ripresa, sarà meglio non perdere di vista le nuove locomotive che sbuffano nel Sud del mondo.

Edoardo Tincani

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