L’omelia per la commemorazione di don Pasquino Borghi a 110 anni dalla sua nascita e a 70 anni dalla fucilazione
Basilica della Ghiara, 30 gennaio 2014
Cari fratelli e sorelle,
le parole di Gesù, che abbiamo appena ascoltato nel vangelo, ci parlano di luce. Non si accende una lampada per nasconderla sotto il letto o sotto il moggio. La luce, per sua natura, è destinata a diffondersi e a illuminare tutto, a essere posta sopra un candelabro (Mc 4,21). Gesù parla ai suoi discepoli, e a noi oggi, innanzitutto di se stesso. Egli è la luce che illumina le nostre tenebre e scalda le nostre vite. Una luce che, iniziata a brillare duemila anni fa, non si è più spenta sulla terra. Una luce che non può essere nascosta, che rispetta la nostra libertà e si ferma dinanzi alle persiane chiuse dei nostri cuori, ma a cui basta solo uno spiraglio di apertura per invadere tutte le stanze della nostra esistenza. Illumina, certo, anche ciò che vorremmo rimanesse nell’ombra,ciò di cui ci vergogniamo e che non vorremmo vedere. Ma Gesù non si scandalizza del nostro male, vuole illuminarlo perché noi, assieme a lui, possiamo vincerlo. La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta (Gv 1, 5). Tutto il male del mondo non è riuscito a nascondere questa luce che ancora oggi, ogni giorno, si fa spazio nei cuori e tra i popoli della terra.
Ma Gesù, attraverso le sue parole, descrive anche l’identità dei discepoli: voi siete la luce del mondo (Mt 5, 14), dirà loro in un’altra occasione. “Voi siete ciò che sono io. Vi ho resi partecipi della mia stessa vita e della mia missione. Vi ho mandati nel mondo perché, attraverso di voi, io possa raggiungere e abbracciare tutti gli uomini”.
Non c’è nulla di nascosto che non debba essere manifestato (Mc 4, 22). “Non abbiate paura, dunque: tutti aspettano di essere raggiunti dalla luce che voi portate, anche coloro che sembrano amare il buio e vi chiudono le porte in faccia. Grande è la vostra responsabilità! Ma non potete viverla da soli. Non siete voi la fonte della luce. Ogni giorno dovete lasciarvi illuminare da me. Solo io posso donarvi la forza, le parole e i gesti che i cuori attendono. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria (Col 3, 3-4). Fino a quel giorno la vostra gloria sia tutta nel lasciarmi vivere in voi, nel prestarmi le vostre braccia, la vostra voce, i vostri piedi, perché io possa continuare a camminare per le strade del mondo, annunciare la salvezza e guarire i cuori”.
Cari fratelli e sorelle,
siamo qui riuniti per commemorare un grande figlio della nostra terra, a centodieci anni dalla sua nascita e settanta dalla fucilazione: don Pasquino Borghi. Le parole di Gesù che abbiamo considerato ci aiutano ad entrare nel segreto della vita di don Pasquino. Che cosa, infatti, rende grande ai nostri occhi la testimonianza di questo sacerdote? La sua vita avventurosa? La sua personalità forte e poliedrica? Per comprendere la sua statura occorre chiederci in che cosa la sua vita si è lasciata attraversare dalla luce di Cristo. Da questo punto di vista ci colpisce, certo, la sua grande generosità, che lo ha portato a essere missionario in Africa, ma ci colpisce anche il suo desiderio di restare solo con Dio che, in una stagione della sua vita, si è concretizzato nella scelta della vita monastica. Non c’è contraddizione tra l’impeto missionario e la ricerca della contemplazione di Dio, anzi: non c’è vera missione, non esiste autentico impegno pastorale, se non sgorga dal desiderio di stare con Gesù e partecipare della sua passione per l’uomo.
Per comprendere il segreto della vita di don Pasquino dobbiamo considerare proprio questa unità tra vita di preghiera e impegno pastorale e civile che egli ha sempre desiderato vivere a imitazione di Gesù. E in tutto ciò ha lasciato brillare la luce della carità di Cristo che si fa incontro agli uomini. Solo questo spiega il suo esporsi in prima persona contro un regime politico che egli riconosceva profondamente dannoso per l’uomo. Aprì la sua canonica di Tapignola ai giovani e, dopo l’armistizio del ’43, avviò una collaborazione solidale con i tanti soldati italiani e prigionieri di guerra che si rifugiavano nelle montagne per sfuggire ai soldati tedeschi. Mise a loro disposizione la sua conoscenza dell’inglese e del francese e la sua esperienza internazionale, maturata negli anni di missione.
Potremmo fare tante riflessioni sulla vita di don Pasquino. Ma è soprattutto la conclusione della sua vita a far emergere la vera grandezza del sacerdote, il gesto che egli compie prima di essere fucilato assieme ai suoi compagni. Egli fu fedele alla sua vocazione sacerdotale. In questo consiste la sua virtù più grande: prima dell’esecuzione, indossando la sua talare, bacia ognuno dei suoi compagni, li benedice e reca i conforti religiosi a chi li desidera. Poi in ginocchio prega a voce alta e perdona i suoi assassini. Come può un uomo morire in questo modo senza aver desiderato di conformare la propria vita a quella di Cristo? È da Gesù che ha imparato a morire così, proprio come era accaduto a santo Stefano e come accadrà continuamente nella storia della Chiesa, fino al beato Rolando Rivi, il cui ultimo gesto, prima di essere ucciso, fu proprio pregare e perdonare i suoi uccisori.
Chiediamo al Signore di accogliere don Pasquino nel suo regno e per noi imploriamo la sua stessa fedeltà alla vocazione e la sua passione nell’annunciare il vangelo.
Amen.
+Massimo Camisasca