Consacrata per fare un mondo più fraterno. La gioiosa testimonianza (e il carattere…) di suor Enrica Solmi

– da “La Libertà” n. 3, del 25 gennaio 2014 –

suor Enrica Solmi coi bambini della scuola S.Ambrogio di Rivalta
suor Enrica Solmi coi bambini della scuola S.Ambrogio di Rivalta

Se solo si lasciano cadere i luoghi comuni che l’avvolgono, la vita consacrata è un mondo pieno di sorprese. Suor Enrica Solmi, per esempio, è una smentita vivente alle idee stereotipate che vanno per la maggiore. Anzitutto è donna, e sappiamo come l’immaginario sulla vocazione sia prevalentemente maschile. Poi è relativamente giovane: 47 anni, 27 dei quali vissuti in convento. In convento, non fuori dal mondo, abituata a cercare tutti i giorni il confronto con i laici; anche per lavoro, dato che dirige una scuola dell’infanzia. Preoccupata comunque di essere, più che di fare, perché “in primis siamo chiamate dal Signore a rispondere al suo dono d’amore” e “viviamo tutti la stessa vocazione alla santità e alla sequela”, dice con spigliatezza.

[dropcap color=”00000″ font=”arial” fontsize=”28″]N[/dropcap]ata e cresciuta a Modena, nella parrocchia di Sant’Antonio, ultima di cinque figli, padre commerciante e madre casalinga, nonché cugina dell’attuale vescovo di Parma, suor Enrica è entrata a vent’anni nell’Istituto delle Suore Francescane dell’Immacolata di Palagano, di cui è consigliera generale e formatrice delle neoprofesse: le ultime due della “sua” serie, la borettese Silvia Scaravelli e la bolognese Chiara Cavazza, emetteranno i voti perpetui il prossimo 1° maggio.

Dall’agosto 2004 dirige la scuola materna parrocchiale “Sant’Ambrogio” di Rivalta, dove abita anche – nel sottotetto della struttura – insieme a suor Sabine, del Madagascar, e all’ottuagenaria suor Fernanda Naldi.

 

 

[dropcap color=”00000″ font=”arial” fontsize=”28″]I[/dropcap]l resto ce lo facciamo raccontare.

Suor Enrica, oggi forma consorelle. Ma lei come si è formata?

Sono entrata nella mia congregazione nel 1987, dopo la maturità ottenuta a Modena in un istituto professionale e un anno di discernimento.

Nel 1996 ho conseguito il magistero in Scienze religiose a Bologna e nel 2004 la laurea in Scienze della formazione a Reggio Emilia, occupandomi anche, per sei anni, dell’Economato della congregazione, a Modena.

E la vocazione alla vita religiosa com’è arrivata?

È maturata tra casa e parrocchia. I miei genitori hanno lasciato a ognuno dei figli la libertà di scegliere. Il fatto stesso di essere cresciuta in una famiglia semplice mi ha insegnato l’ascolto e la condivisione, che penso siano alla base della ricerca vocazionale. È stata questa la buona strada che ha permesso al Signore di entrare nella mia vita, certo attraverso tanti intermediari e diverse opportunità: incontri personali, ritiri, testimonianze dei frati francescani minori che passavano in parrocchia, educatori e catechisti.

Tutto facile?

Tutt’altro. Le prime domande di senso me le sono poste a 16 anni, ma intervallavo momenti di disponibilità e accoglienza della vocazione ad altri di rifiuto e ribellione. Il Signore ha dovuto ingaggiare una bella lotta con una ragazza come me, che non voleva rinunciare ai suoi desideri.

Quali?

Tanti amici, un fidanzato… e poi lo sport: ho fatto canoa, pallavolo e soprattutto calcetto, altra grande passione.

Ma allora come si è convinta a farsi suora?

Alla fine ciò che mi ha fatto cedere al Signore è stato rendermi conto che nonostante vivessi tante esperienze belle e ricche a livello affettivo, una parte del mio cuore rimaneva sempre insoddisfatta. Ho capito che solo il Suo amore mi riempiva e riassumeva tutti i miei desideri di generosità, creatività… vita. Entrare in convento è stato un consegnarmi a Lui nella gioia.

Con quanta consapevolezza?

Ero molto incosciente di quello che avrei fatto, sapevo solo di essere innamorata! Negli anni lo Spirito mi ha aperto orizzonti allora impensabili, ma non può che essere così in fondo: mano a mano che cresce l’incontro con il Signore, cresce anche la tua umanità e diventi più donna e più madre.

Fa un po’ effetto, detto da una suora…

Eppure è vero: una religiosa è pienamente donna. Non avrei mai accettato di rimanere “dimezzata”. Vede, io penso che la vocazione sia l’incontro tra due libertà; il Signore ti dà questa bellissima libertà di sceglierlo, insieme alla forza di buttarti, sapendo su quale fiducia approderai.

Ci avviciniamo alla cosiddetta Candelora. Sono tempi di crisi anche per la vita consacrata?

Ci sono delle urgenze interne, sì: il calo numerico delle forze, le enormi opere da gestire e il confronto con la realtà e con i bisogni dell’uomo d’oggi. A fronte di ciò, e anche in conseguenza delle difficoltà, credo che la vita religiosa stia vivendo un momento di grande riflessione e discernimento sulla propria identità, sul ruolo nella Chiesa e sul suo servizio nell’edificare il regno di Dio. Credo anche che essa senta la necessità di riappropriarsi di alcuni suoi capisaldi: la vita spirituale e la vita fraterna, da cui nasce la vita apostolica.

Serve meno autoreferenzialità?

Ci stiamo chiedendo cosa la Chiesa si aspetti da noi, in modo da entrare sempre più in sinergia con le altre sue componenti – i sacerdoti, i laici – e da considerarsi vicendevolmente quali occasioni di crescita e di comunione, evitando separazioni e isolamenti.

Papa Francesco, che ha voluto dedicare il 2015 alla vita consacrata, ci aiuterà a rispondere a queste istanze.

Qual è a suo avviso la sfida più importante per le religiose, oggi?

Quella di presentarci come esperte di fraternità e di dialogo, che se vogliamo è tipico della donna, con la sua capacità di mediare e di accogliere. E non per essere “serve”, ma per metterci al servizio della Chiesa, lavorando insieme per portare tutti al Signore.

Io mi sento così: nella scuola, con le famiglie, con le maestre… Proprio la mia esperienza reggiana, a contatto quotidiano con i laici, è il dono più grande che il Signore mi ha fatto finora. Vivo da sorella in mezzo a fratelli e sorelle.

Per vivere da “sorelle” dei laici, però, si deve uscire dal convento…

Si vive ancora il retaggio dei secoli passati, in cui la vita religiosa era una realtà a parte ed era la gente che andava a cercare frati e suore, incontrando peraltro un mondo strutturato e una presenza numericamente rilevante. La povertà che viviamo e l’apertura delle opere ai laici sono diventate sorgente di ricchezza. Non si deve temere il confronto diretto, anche perché la vita fraterna ha delle dinamiche simili a quella di famiglia.

 

È solo un piccolo concentrato di vitalità religiosa. La realtà è fatta anche di suore più anziane e acciaccate di suor Enrica. Ma il suo messaggio di apertura e di “condivisione del battesimo” come comune radice della sequela di Cristo rimane nella sua validità. Anche per questo sarebbe significativo che, in diocesi, la giornata della vita consacrata non fosse vista come un ritrovo “esclusivo” per frati e suore, ma diventasse un momento di incontro.

Quest’anno l’occasione si presenterà con la Messa presieduta dal Vescovo sabato 1° febbraio alle 10.30 in Cattedrale. Tutti invitati, come fratelli e sorelle.

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