– da “La Libertà” n. 43, del 7 dicembre 2013 –
Saliti al quinto piano del palazzone di via Zambonini 45, a Reggio, ci accoglie Giovanni Dazzi. Gentile, educato, ci fa entrare nel suo appartamento. Percorso il corridoio, l’attenzione non può che concentrarsi su una enorme libreria, che domina la sala. Cinque scaffali pieni zeppi di opere che parlano di teologia, Sacre Scritture, esegesi e dialogo interreligioso. E tra questo compendio di conoscenza religiosa ora trova spazio anche il libro che Giovanni ha appena scritto: “Il Dio esclusivamente buono. La parabola del Padre misericordioso e le sue riletture” (Gabrielli Editori).
[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]Q[/dropcap]uarantanove anni, da 6 insegnante di religione nelle scuole superiori di Reggio e Modena (ora all’istituto “D’Arzo” di Montecchio e al “Don Iodi” di Reggio) e con un passato da infermiere, Giovanni ha conseguito la laurea magistrale in Scienze religiose nel 2012 a Modena, dedicando la tesi all’analisi della parabola conosciuta più comunemente col nome di “figliol prodigo”.

Professor Dazzi, perché il Dio “esclusivamente buono”? Non è un assunto scontato?
No, tutt’altro. Me ne sono accorto ascoltando le riflessioni dei miei studenti: per molti di loro, la visione di Dio è piuttosto negativa. Lo vedono come un giudice, onnipotente e punitivo.
Questo perché?
Perché c’è scarsa conoscenza della Bibbia. Le Sacre Scritture sono, oltre che poco conosciute, anche male interpretate.
Ci faccia capire…
Il Dio raccontato dall’Antico Testamento può apparire, a tratti, violento. In realtà ha un volto buono. Ciò che non è facile da comprendere è che i libri sacri, seppure abbiano una ispirazione divina, sono stati scritti materialmente da uomini, influenzati dal contesto storico, culturale e politico del loro tempo. Per esempio, porta fuori strada la figura di un Dio guerriero che usa la spada. Dettato magari dall’esigenza di Israele di essere soccorso da un condottiero che lo aiutasse a vincere la guerra. Così come sono ingannatrici ed estranee alla Bibbia le immagini di derivazione pagana, come quella di un Dio che assomiglia a Giove che lancia i fulmini.
La visione sbagliata di Dio che conseguenze ha?
Porta le persone ad allontanarsi dalla fede e dalla Chiesa quando questa viene vista come espressione di un potere; anche se Papa Francesco, con i suoi gesti evangelici e con le sue parole, sta certamente invertendo questo trend.
Lei però sta anche affermando che, nel corso della storia, è stata come distorta l’iconografia su Dio.
L’immaginario comune del Dio raffigurato come un anziano con la barba bianca è fuorviante. Dio credo sia da immaginare più come una forza creatrice e piena d’amore che abita in ogni individuo per renderlo simile a Lui.
È per questo che ha scelto per la parabola il titolo meno popolare di “Padre misericordioso”?
Sì, perché penso che l’immagine paterna, genitoriale, sia l’unica immagine umana che possa accostarsi a Dio. Il figlio ha sperperato tutto il denaro, torna a casa non spinto dal pentimento, ma dal bisogno. E il genitore che fa? Lo abbraccia, lo bacia e lo perdona. Senza chiedere nulla. Così è il Padre che Gesù ci annuncia nel Nuovo Testamento: un Dio che non ci ripaga secondo il nostro comportamento ma che ci ama di un amore incondizionato. Che non risponde ai nostri meriti o demeriti, ma alle nostre necessità. Ci ama e ci lascia liberi di agire. Ci vuole felici e realizzati.

Insomma, un Dio che ci vuole nonostante noi continuiamo a sbagliare…
Certo. Nel libro c’è una parte che analizza le riletture della parabola che sono state realizzate dalle varie forme di arte lungo la storia. E c’è un dipinto in particolare, tra tutti quelli presi in considerazione, che mette in risalto in modo molto profondo e simbolico il sentire di Dio. è quello di Rembrandt, chiamato “Il ritorno del figliol prodigo”, su cui mi sono imbattuto anni fa e che mi ha spinto a interessarmi alla parabola. Nell’opera, le sue mani si stendono sul figlio: una è maschile e l’altra femminile. Dio è padre e madre, è completezza, è forza e misericordia.
Nel testo c’è anche un fratello maggiore che non prende molto bene l’atteggiamento del padre…
Simboleggia i farisei che si sentono perfetti e in credito verso il Divino. E forse anche un po’ noi cristiani, che ci mettiamo poco in discussione, pensando di essere nel gregge degli eletti.
Qual è il passaggio che più la emoziona?
Il momento in cui il padre si getta al collo del figlio. Mi fa pensare a quello che troveremo dopo la morte. Dio che ci accoglie e ci abbraccia, nonostante tutto…
Matteo Zanichelli