La riflessione – Relazioni in burrasca: quale dignità? Ridare anima agli incontri per recuperare il rispetto della persona

– da “La Libertà” n. 37, del 26 ottobre 2013 –

Per ricreare lavoro e sviluppo economico dobbiamo ritrovare un nuovo rapporto con il corpo. Con quello autentico, non con quelli plastificati e immaginati, nostri e degli altri, che esaltiamo, aduliamo e idolatriamo come merci – finché giovani e floridi – e che poi rifiutiamo di guardare quando si ammalano, appassiscono e invecchiano. Per recuperare rispetto e dignità alla donna offesa e oltraggiata con violenza inaudita dovremmo recuperare un barlume di anima anche all’interno delle grandi imprese e delle istituzioni. Organizzazioni complesse, scuole di ogni ordine e grado possono diventare disumane quando perdono di vista l’essere umano concreto, quindi corporeo.

[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]L[/dropcap]a cultura contadina e quella della fabbrica sono state culture dure e grezzamente impostate ma profondamente umane, perché fondate sullo scambio continuo di materie prime e su scontri e conflitti tra uomini in carne e ossa. Anche la scuola, ai suoi inizi, suscitava forti entusiasmi nelle famiglie ed era un grande rito che faceva impegnare i ragazzi e i docenti non solo per uno sforzo organizzativo ma per il valore intrinseco di una nuova avventura di apprendimento e di lavoro richiesto ai giovani.

[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]V[/dropcap]oglio dire che – si parli di femminicidio, di stalking, di devastazione produttiva o di totale disaffezione alla scuola – il fil rouge del malessere sempre più inquietante è mutatis mutandis praticamente lo stesso.
O questa crisi di inizio millennio serve per ritrovare la centralità dell’essere umano nella sua ricerca indomita di rapporti umani autentici e densi di significato o davvero siamo sull’orlo di un abisso.
A che serve la scuola se gli studenti sono in media molto più abili dei docenti nell’usare Internet? A che serve studiare storia e geografia come patrimonio di memorie condivise se le informazioni necessarie vengono fornite in due secondi dall’iPhone? A che pro cercare di capire e amare nella sua complessità la donna che ti sta accanto, se fuori dalle pareti domestiche la legge del potere e del denaro schiacciano personalità già di per sé fragili e inesistenti? A che serve investire in nuove attività rischiando per il futuro se non si intravede un barlume di ripresa e di fiducia nel futuro delle nuove generazioni?

[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]Q[/dropcap]uando i lavoratori, i clienti e i fornitori, gli studenti e i docenti diventano realtà astratte e lontane – e la politica vede in loro solo cifre generiche e masse indistinte – accade che davvero ogni persona si senta inesorabilmente un numero, un algoritmo, una fonte di costo. Pèrdono il corpo, e quindi non sono più veramente persone.
Se le donne percosse e uccise sono semplici valvole di sfogo di psicologie malate, siamo all’inciviltà più diffusa. Quando dell’altro – a partire dal politico, dal docente, dal datore di lavoro – non vedo il volto, il colore delle guance, il luccichio di un occhio emozionato o sfiduciato, quando non gli stringo la mano e posso sentire se è sudata, fredda o tremula, diventa impossibile fare scelte giuste e buone che riguardino quelle persone.

[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]I[/dropcap]n azienda “si tagliano teste e rami secchi” perché non sono le teste di esseri umani ma semplici nomi vagliati sulla base della loro produttività: semplici pupazzi un tempo utili ed efficaci, ora risorse inservibili e nulle. Quando a scuola l’unica preoccupazione che conta è quella di studiare bene inglese e informatica – perché oggi per stare al passo con i tempi occorre viaggiare ed essere sempre connessi – si è completamente persa la ‘mission’ profonda della scuola, che è quel posto unico e irripetibile in cui si dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) imparare a diventare esseri umani migliori.
La scuola buona deve insegnare a scrivere e a leggere correttamente nella propria lingua, in modo da avere accesso alla cultura e all’informazione in modo autonomo e libero, ma anche in modo da non essere ingannati da un cattivo avvocato, da un contratto disonesto, da una falsa notizia.
Avere il possesso della propria lingua è un requisito fondamentale per essere rispettati e capiti e sfuggire alle relazioni piene di nulla che tanta tv e troppi bla-bla inconsistenti ci propinano.

solitudine

[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]M[/dropcap]a soprattutto, saper leggere e scrivere correttamente è lo strumento base per avere accesso alle materie umanistiche: quelle che nell’immediato non ti trovano un posto da contabile, è vero, ma sono la base per l’educazione morale e civile di un essere umano.
L’umile corpo dice molto di più dei trattati di teologia e di filosofia, delle fredde statistiche di indici di Pil e di fatturati decurtati.
È il corpo che dice il limite nostro e degli altri, quindi la vera alterità e reciprocità. Ed è la consapevolezza carnale di questa ambivalenza – fragilità corporea e grandiosità della vita – che ci mette in contatto con la nostra vera essenza: quella di persone vere, né supereroi avidi di potere, né erba da calpestare. Non saremo capaci di un nuovo welfare tanto meno economicamente sostenibile e quindi di un nuovo patto sociale per la cura dell’uomo e per la sanità, se non ritroveremo una nuova amicizia con il corpo e le sue stagioni, con i suoi limiti e i suoi bisogni sia mentali che fisici.

[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]N[/dropcap]on si può fare politica solo attraverso facebook, mail, skype, conference call e strilli sui giornali: ci si deve incontrare, e toccare con mano le aziende, i loro problemi, le loro attese e le loro inefficienze. Conosciamo le cose toccandole, imponendo su di loro le mani. Il lavoro è in crisi perché è in crisi il corpo vero, le sue “lunghe mani” e la tipica feconda conoscenza del mestiere di fare che prevedeva studio, fatica, apprendimento a bottega, graduale crescita della competenza e verifica concreta finale sul posto.
Non ho mai conosciuto nel mio campo di ricerca sociale un intellettuale o studioso generativo di tesi ben fatte che prima di scrivere parole non concepisse i suoi concetti nel travaglio personale della sua mente.
In ogni caso siamo a una svolta epocale. E i giovani hanno bisogno di maestri e validi punti di riferimento che aiutino a conoscere il passato, a saper interpretare il paesaggio che ci circonda, leggere gli autori che hanno costruito la nostra cultura senza essere “agiti” dall’esterno, dalla pubblicità o da cattivi predicatori senza scrupoli.

[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]B[/dropcap]ando agli utilitarismi superficiali – che impoveriscono e non promettono crescita – e concentriamoci sulle persone e le loro necessità, scuotendoci da un analfabetismo relazionale che va dall’incapacità di comunicare dei partiti all’insipienza di leader d’impresa attaccati più ai ruoli organizzativi che alla sostanza delle cose.
Fino ad arrivare, nelle case, a compagni e coniugi che non vedono più, nella donna che sta loro accanto, un essere umano, diverso ma a loro dedicato.
Ridare anima agli incontri significa allora questo: recuperare il senso alto di un’attività, di un mestiere, di una professione, per esserci davvero e aiutare ogni giorno chi ci sta accanto a fare scelte di vita importanti. Che passino per la nostra e altrui fragilità dischiudendo ciononostante anche tutta la nostra irripetibile unicità di persone volute e amate da sempre.

Catia Iori
sociologa

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