– da “La Libertà” n. 29, del 31 agosto 2013 –
Internet coi suoi motori di ricerca e le enciclopedie libere, i social network nella loro gamma più vasta, dai generalisti ai tematici, e poi smartphone e tablet con le loro “App” (applicazioni) per garantirsi una connettività sempre più massiccia… Tutti questi passaggi della rivoluzione digitale stanno sortendo effetti dirompenti sul modo di fare informazione e di comunicare.
Uno dei più eclatanti è lo spostamento, talora uno sbilanciamento, sull’importanza dei destinatari del messaggio, ossia sul “pubblico”. Con la Rete gli utenti-navigatori sono continuamente sollecitati ad abbandonare un ruolo di mera consultazione per entrare in conversazioni allargate, “vetrinizzare” le loro esperienze e, ove possibile, capitalizzarle in qualche maniera.
È una comunicazione sempre più socializzata e condivisa, in cui per i professionisti dell’informazione rimane centrale l’impegno di verificare notizie e immagini, ma le relazioni la fanno da padrone e i comunicatori nati direttamente nell’ambiente digitale, come i blogger, guadagnano di continuo nicchie di ascolto e di “contatto” sui canali tradizionali, dalla carta stampata alla tivù.

[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]A[/dropcap]nche se Internet rimane 24 ore su 24 veicolo di interessi prevalentemente commerciali, e non sempre “puliti”, rimane il dato che la ragnatela informatica genera anche “comunità”, e questo è un fatto che non può non interessare la fede, quanto meno quella “cattolica”, che ha nel popolo di Dio un riferimento imprescindibile.
Partecipare, dunque, dà al credente anche l’occasione di testimoniare il proprio credo, raccogliendo il potente invito che il Beato Karol Wojtyla aveva messo nero su bianco nella Lettera Apostolica Il rapido sviluppo del 24 gennaio 2005: “Non abbiate paura delle nuove tecnologie! Esse sono «tra le cose meravigliose» – «inter mirifica» – che Dio ci ha messo a disposizione per scoprire, usare, far conoscere la verità, anche la verità sulla nostra dignità e sul nostro destino di figli suoi, eredi del suo Regno eterno”.
Sin qui tutto relativamente tranquillo, cioè: le nuove tecnologie rimangono una straordinaria possibilità, meravigliosa finché si vuole, però niente di “sconvolgente”, se si considerano staccate dalla vita e dalla fede, o tutt’al più un puro oggetto di riflessione filosofica.
[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]I[/dropcap]l problema nasce quando da “mondo a parte” esse – come avviene coi nativi digitali ma pure per una quota crescente di persone adulte – divengono parte del “proprio” mondo. Questo cambiamento incide in qualche misura sulla fede? Ci sono punti di interazione tra la Rete e il pensiero cristiano?
Sono domande che in ambienti ecclesiali fanno ancora arricciare il naso a molti, anche se nel frattempo sono arrivati i messaggi su Twitter di Benedetto XVI prima e di Papa Francesco poi.
Eppure proprio un gesuita, padre Antonio Spadaro, classe 1966, direttore della rivista “La Civiltà Cattolica”, è il sacerdote che più si è distinto – in particolare con il sito www.cyberteologia.it – per sondare l’intelligenza della fede al tempo della Rete. Dal suo punto di osservazione, supportato da un’indiscussa preparazione teologica e da un’eccellente padronanza tecnologica, questo prete di origine messinese, che è Consultore del Pontificio Consiglio della Cultura e di quello delle Comunicazioni sociali, è convinto che il pensiero teologico possa aiutare l’uomo “digitale” a trovare nuovi sentieri nel suo cammino verso Dio. C’è molto da conoscere, ma altrettanto rimane da immaginare.
[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]L[/dropcap]a sfida, in un’ottica cristiana, non dev’essere tanto come “sfruttare” al meglio la Rete, ma come “viverla” bene, con se stessi e davanti al Creatore.
E l’Università Gregoriana, gestita dai Gesuiti, ha mostrato una sicura apertura di credito nei confronti di padre Spadaro, invitandolo a tenere, nel prossimo anno accademico, un nuovo corso intitolato “Cyberteologia: pensare il cristianesimo al tempo della Rete”, allo scopo di preparare i futuri presbiteri a raccogliere tutto il positivo che l’universo digitale è capace di offrire.
Per la cronaca, esiste un suo libro omonimo pubblicato nel 2012 da Vita e Pensiero, la casa editrice dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Sul cammino dell’uomo digitale, come sempre, si annidano visioni fuorvianti, oltre che il mai domo desiderio di possesso e di dominio. L’uso pervasivo del web, ad esempio, ha portato a una proliferazione di visioni idolatriche della Rete stessa, che diventerebbe una sorta di “realtà spirituale”, una divinità in se stessa.
[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]L[/dropcap]a “cyberteologia” intende affrontare dal punto di vista cristiano ciò che le macchine non sanno fare: il senso delle cose. La miglior motivazione di questo sguardo spirituale sul mondo digitale ci pare quella che lo stesso gesuita fornisce, ovviamente nella Rete: “Nel 1964 Paolo VI disse a proposito dei primi computer che «il cervello meccanico viene in aiuto del cervello spirituale». E parlò dello «sforzo di infondere in strumenti meccanici il riflesso di funzioni spirituali». Parole profetiche. La tecnologia è la forza di organizzazione della materia da parte dell’uomo che è un essere spirituale. Siamo chiamati a comprendere la natura profonda, la vocazione stessa delle tecnologie digitali in relazione alla vita dello spirito. In particolare, la Rete e la cultura del cyberspazio pongono nuove sfide alla nostra capacità di formulare e ascoltare un linguaggio simbolico che parli della possibilità e dei segni della trascendenza nella nostra vita. L’uso distorto ed eticamente cattivo della tecnologia paradossalmente conferma il fatto che essa ha a che fare con la libertà e lo spirito dell’uomo”. Ancora una volta, la missione dei cristiani è quella di affiancarsi ai navigatori per accompagnarli nel nuovo campo del discernimento digitale.
Edoardo Tincani