– da “La Libertà” n. 16, del 27 aprile 2013 –
Le celebrazioni del primo maggio, più che come “festa” del lavoro, saranno vissute in un clima di preoccupazione e, per certi aspetti, di panico. Lavoro sì – ma quale? – tra precariato, Cig (Cassa integrazione guadagni) e ammortizzatori sociali vari, disoccupazione in crescita…
I numeri parlano chiaro. Nella nostra provincia l’andamento dei salari nel 2012 ha fatto segnare un -13,46% e le previsioni per il 2013 si aggirano su un -20%. Il numero dei lavoratori nel 2011 è diminuito dell’11%; nel 2012, altro calo del 10%, mentre il ricorso alla Cassa integrazione è cresciuto del 50%.
[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]A[/dropcap]umentano il numero dei Contratti di solidarietà, la mobilità e le cessazioni di attività… e intanto il temuto calo degli ordinativi diventa realtà. I ritardi nei pagamenti delle Pubbliche Amministrazioni, la concessione alle imprese di finanziamenti bancari sempre meno consistenti e più onerosi, la fase globale di recessione e lo sfilacciamento non solo morale della politica sono tra le tante cause che hanno generato questa situazione. Allargando l’angolo di visuale, ci troviamo di fronte poi a un incrociarsi di fattori esplosivi: le nuove bolle finanziarie generate dalle massicce iniezioni di denaro pubblico (Usa e Banca Centrale Europea), l’instabilità geopolitica globale, le guerre valutarie in corso (dollaro vs yuan), l’ammontare dei debiti sovrani e lo strapotere dell’alta finanza speculativa.
[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]C’[/dropcap]è un retroscena, tuttavia, da porre in evidenza: sono le conseguenze invisibili della perdita o stemperamento di quei beni intangibili che costituiscono la nervatura di ogni relazione non solo economica. Ossia la perdita in generale della fiducia (tra stakeholder, portatori di interessi) e l’avvilimento della speranza. Questo effetto va da chi non cerca nemmeno più un lavoro dopo averlo perso, ai suicidi per difficoltà economiche. Sono umiliazioni della dignità umana: non ti consegno la merce se non per contanti perché non mi fido più, non so cosa succederà domani, che ne sarà di me e della mia famiglia, dovrò rivolgermi a qualche ente benefico ma non ne ho il coraggio, ho perso la stima in me, eccetera.
[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]È[/dropcap] indispensabile ripensare non solo al modello di sviluppo, ossia a una rigenerazione e ristrutturazione dei diversi settori produttivi, ma pure a come declinare i princìpi fondamentali di solidarietà e sussidiarietà per rinnovare una coesione sociale che si sta sgretolando. Ovverosia, un cambio di mentalità ed un nuovo senso sociale d’appartenenza.
Acroyd sosteneva che “Se vuoi arrivare al punto che non conosci, devi prendere la strada che non conosci”. Quella che ci porterà fuori da questa crisi è ancora lunga, piena di ostacoli; dobbiamo però percorrerla insieme, uniti.
don Gianni Bedogni
Ufficio diocesano di Pastorale sociale