“Benedetto XVI, un grande Padre della Chiesa” – Intervista al vescovo Massimo Camisasca: il valore del pontificato di Joseph Ratzinger

– da “La Libertà” n. 9, del 9 marzo 2013 –

Ancor più, ora che la residenza vaticana è sigillata in attesa del Conclave e che il “pellegrino” vestito di bianco, Papa emerito, si è ritirato nel Palazzo apostolico di Castel Gandolfo, come fedeli avvertiamo il vuoto venuto a crearsi con la fine di febbraio. Si sente il bisogno di ripensare con animo grato a Joseph Ratzinger, uomo di fede e di ragione, mite e audace con la sua rinuncia al ministero petrino. Ci è parso significativo condividere questi sentimenti con monsignor Massimo Camisasca. Lunedì 11 febbraio, il giorno stesso della notizia delle “dimissioni”, il Vescovo aveva diffuso un suo messaggio alla Diocesi. Oggi, in Vescovado a Reggio, mentre dalla strada giungono voci di bambini in gioco, il presule torna sugli ultimi giorni – e sulla grandezza di un pontificato – con questa intervista per il nostro settimanale.

             Monsignor Camisasca, Benedetto XVI verrà dunque ricordato come il Papa della rinuncia?

La Chiesa intera ha vissuto in queste ultime settimane un momento particolare della sua storia. Per trovare altri episodi di rinuncia al pontificato dobbiamo riandare indietro al 1400 e poi al 1200 e infine ai primi secoli, in cui però è difficile scoprire delle similitudini con il presente. Si è trattato, in altre parole, di un evento straordinario: la rinuncia di Benedetto XVI, che avevo visto pochi giorni prima della sua comunicazione al mondo di questa decisione, è giunta a me innanzitutto come un evento choccante. Poi ha messo in moto una riflessione di fede.

             Sui mass media, però, è prevalsa l’idea di una sconfitta del Papa. Il “mondo” non capisce?

Alla luce di questa rinuncia appare anche l’immenso fraintendimento che la stampa aveva fatto intorno alla sua figura: colui che è stato presentato come il panzerkardinal, come l’inquisitore, appare invece non solo in tutta la sua umiltà, ma anche in tutta la sua “inermità”. È stato scritto di lui di recente: “in umiltà ha fatto quello che gli è stato possibile fare e in umiltà ha affidato il resto al Signore. In definitiva egli non è che uno strumento nelle mani del Signore, libero dalla presunzione di dover realizzare in prima persona e da solo il miglioramento del mondo”.

Ultima foto da papa

             È stato lo stesso Benedetto XVI, nell’ultima udienza del 27 febbraio, a spiegare il suo itinerario: la considerazione che le sue forze erano diminuite lo ha portato a chiedere a Dio con insistenza di aiutarlo a prendere una decisione per il bene della Chiesa…

Ciò che più mi impressiona sono le parole successive: “Ho fatto questo passo… con una profonda serenità d’animo. Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi”. Questa serenità d’animo, che traspare visibilmente dal volto di Benedetto XVI, è la sua più grande eredità. Tutti siamo capaci di manifestare gioia quando viviamo fatti favorevoli, o cadiamo nella depressione quando siamo colpiti dalle avversità; ma vivere con serenità momenti difficili, questo è veramente il dono e il frutto della grazia di Dio in noi. È un frutto che nasce da una lunga trasformazione del cuore e della mente e che sostanzialmente consiste nell’abbandonarsi a Dio, nel sapere che Lui guida la barca della Chiesa, che il tempo non ci porta verso il nulla, verso il male, ma verso la vittoria di Cristo, anche se il mare è in tempesta.

             Siamo al nocciolo della fede: fidarsi della Parola di Dio. Un altro lascito…

Il cristianesimo è la religione del Logos fatto carne: è un convincimento profondo che papa Ratzinger ha più volte esplicitato nel suo magistero di questi quasi otto anni. Anche ultimamente, parlando dopo la settimana di esercizi spirituali, ha ricordato che Logos si può tradurre anche “arte”, oltre che “parola” e “ragione”. Durante il suo pontificato ha voluto anzitutto mettere in luce la positività della creazione, del disegno di Dio sull’uomo. L’umanità ha davanti il “Tu” di un essere personale amante e libero. Il Logos si è fatto carne, è entrato nella storia, ha assunto un nome umano: Gesù di Nazareth. La considerazione della storia è uno dei metodi principali della teologia di Ratzinger. Si può dire che egli esamina sempre innanzitutto dal punto di vista storico i contenuti del dogma. Li vede crescere, chiarirsi od oscurarsi a seconda dei tempi e poi chiarirsi ancora, attraversare le epoche, le vicende umane, ed arrivare fino a noi attraverso eventi storicamente significativi, in una Tradizione.

             A proposito di eventi storici, cosa ci resta del Vaticano II in quest’Anno della fede a 50 anni dalla sua apertura?

Ratzinger è l’ultimo Papa che ha vissuto il Concilio; chi gli succederà certamente continuerà a mostrare la fecondità del Concilio Vaticano II per la vita della Chiesa, ma ne sarà un testimone indiretto. Come ha raccontato ai parroci di Roma nel suo ultimo incontro, Benedetto XVI ha creduto profondamente nel Concilio Vaticano II come evento dello Spirito, ha sofferto e giudicato la negatività di alcuni aspetti del post-Concilio e ha cercato di continuare l’opera di Giovanni Paolo II, l’attuazione del Concilio, mostrandone le chiavi più adeguate di lettura.

             Quali sono gli aspetti della personalità di questo Papa che più la colpiscono?

Benedetto XVI è un papa che ha unito una sottile e profonda penetrazione della cultura del nostro tempo, della dottrina della Chiesa, ad una grande affettività trattenuta. Ha vissuto un suo protagonismo, il protagonismo dell’umiltà, della confidenza nella verità che finisce per vincere sulla menzogna, del rispetto assoluto per le persone, innanzitutto per i propri collaboratori. Soprattutto, ha mostrato una grande confidenza nella guida permanente di Cristo sulla Chiesa. Alcune sue frasi ci colpiscono per la loro tenerezza. Come quando il 23 febbraio scorso, al termine degli esercizi spirituali, ha detto: “Credere non è altro che toccare la mano di Dio nell’oscurità del mondo, e così nel silenzio ascoltare la Parola e vedere l’amore”.

Ultima Udienza generale mercoledi 27 febbraio Grazie Benedetto             “Vedo una Chiesa viva!”, ha esclamato Benedetto XVI il 27 febbraio in piazza San Pietro. Nel momento del distacco, anche questo suona come un atto di fede, non trova?

Coerentemente con quanto ho osservato, il Papa che ci ha lasciati ha sempre cercato di vedere e di mostrare al mondo la positività dell’essere Chiesa, la vitalità della Chiesa pur dentro le traversie della sua storia passata e presente, la gioia dell’essere cristiani, la luminosità portata nel mondo dalla fede. “Gioia” è certamente una delle parole che più ricorderemo, pronunciate dal suo tipico accento tedesco. Benedetto XVI ha concentrato l’attenzione dei fedeli e del mondo su ciò che è il cuore del cristianesimo: la fede stessa, la carità, l’annuncio, la vita sacerdotale, la bellezza dell’essere cristiani. Non è un caso che durante il suo pontificato si sia svolto un Anno paolino, un Anno sacerdotale e l’Anno della fede.

             Ma è stato seguìto in quest’opera di ritorno all’essenziale?

Forse Benedetto XVI avrebbe voluto ancor di più “dimagrire” la Chiesa, liberarla di certi pesi, per renderla più agile nella sua missione: è un compito che a mio parere spetterà al suo successore. Certamente egli ha affermato il primato della grazia su qualunque struttura organizzativa. Ancora nella sua ultima udienza ha ribadito che la Chiesa non è né un’organizzazione né un’associazione per fini religiosi o umanitari, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel corpo di Gesù Cristo. Ci ha invitati a guardare alla Chiesa in modo eucaristico, a una comunità che vive in piccoli o grandi numeri intorno all’Eucaristia, nella conversione continua e luminosa di chi si aspetta tutto dal suo Signore, di chi sa di avere una responsabilità di fronte al mondo ma nello stesso tempo di chi non si lascia mai misurare dalle pretese degli altri e dalle aspettative degli uomini, ma soltanto dalla volontà di Dio.

             Cosa tratterrà, del magistero di questo grande Papa?

Benedetto XVI si è misurato con i più grandi temi del nostro tempo, mostrando le strade attraverso cui la fede non diventi intolleranza, riproponendo le fondamenta autentiche di un diritto universale che oggi soffre proprio per l’assenza di queste radici; i suoi grandi discorsi all’Università di Ratisbona, a quella di Roma, anche se non pronunciato direttamente, ai Bernardini a Parigi, al Parlamento tedesco, rimarranno come grandi letture delle questioni fondamentali del nostro tempo. Le sue encicliche sulla carità e sulla speranza, le sue catechesi del mercoledì, soprattutto le sue omelie alle Messe delle grandi festività liturgiche, ci rimandano – come ho detto in altre occasioni – alle grandi catechesi di Leone e Gregorio Magno; fanno di Benedetto XVI un grande Padre della Chiesa, che ha saputo riproporre con la stessa semplicità e profondità dei padri dei primi secoli le domande fondamentali dell’uomo, viste però in rapporto alle sfide di questa nostra epoca post-moderna.

             A breve conosceremo il nome del nuovo Papa…

Peter Seewald sul Corriere della Sera ha cercato di descrivere i compiti che Benedetto XVI lascia in eredità al nuovo papa: non incentivare le forze centrifughe che portano lontano dalla Chiesa, aiutare coloro che tengono insieme il patrimonio della fede, che restano coraggiosi, che annunciano un messaggio, che danno una testimonianza autentica. Nell’ultimo incontro che il giornalista tedesco ha avuto col Papa, di cui sta scrivendo la biografia, alla fine gli ha chiesto: “Lei è la fine del vecchio o l’inizio del nuovo?”. E Benedetto XVI ha risposto: “Entrambi”.

Edoardo Tincani

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