– da “La Libertà” n. 8, del 2 marzo 2013 –
Editoriale.
Erano le prime elezioni politiche invernali e il “gelo”, per molti dei protagonisti annunciati, si è fatto sentire. L’exploit del Movimento 5 Stelle – lo ha votato un italiano su quattro – ha cambiato irreversibilmente i connotati alla storia della Repubblica del maggioritario, a livello nazionale come in periferia.
Una prima considerazione è che l’Italia non è matura per il bipolarismo. Stavolta la percentuale di astenuti ha registrato il record (quasi il 25%), ma il segnale di partecipazione è arrivato nitido.
Solo che il Paese, esasperato dalla crisi e dalla richiesta di continui supplementi di sacrifici, si è espresso in modo inedito, articolato e complesso, ha votato con la testa e con la pancia… ma non è stata solo “protesta”, o “antipolitica”. È stato un voto dato in molti casi “per” il rinnovamento, per cercare di ottenere ciò che gli ultimi governi, “tecnico” incluso, non sono riusciti a produrre: la riduzione dei costi del sistema politico e la riforma dei meccanismi di rappresentanza che – oggi è palese – non si confanno a una democrazia particolarissima come la nostra.
[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]C[/dropcap]erto, gli esiti di cotante premesse appaiono paradossali: la XVII legislatura parte zoppa, gravata da un’ipoteca sulla governabilità futura, nel mirino degli speculatori finanziari.
Però sarà bene, bene comune intendo, che le forze politiche vecchie e nuove prendano atto di questi risultati senza recriminare troppo e si concentrino realisticamente sul da farsi, ripartendo proprio dai luoghi più sferzati dalle polemiche e dal cosiddetto populismo: le istituzioni.
Sotto gli occhi di un’opinione pubblica nauseata da scandali e disonestà, si tratterà di eleggere i presidenti delle due Camere, di convergere “obbligatoriamente” sulle prime indicazioni per formare il governo, e a breve di arrivare all’elezione del nuovo capo dello Stato: un ruolo sempre più sostanziale per l’assetto del Paese, specie in tempi incerti e burrascosi come questi.
L’ora delle responsabilità è già scoccata: sul lavoro e sulle riforme istituzionali il centrosinistra vincente ma sconfitto di Bersani, il centrodestra del redivivo Berlusconi e il nuovo polo popolare di Grillo sono attesi alla prova dei fatti. Poi c’è un tema nel contempo etico e sociale, la famiglia, che l’agenda politica italiana ha sempre ignorato o rinviato. Sarà la volta buona che si riesca a promuoverla e sostenerla con vigore, visto che il Paese va “ricostruito” dalle sue fondamenta costituzionalmente riconosciute?
[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]A[/dropcap]ggiungo solo una nota personale sul voto dei cattolici, oggi più o meno delusi. A oltre vent’anni dallo sfascio della Dc l’assenza di una lista popolare di dichiarata ispirazione cristiana non è più una novità, però siamo ancora una volta di fronte al flop di risorgenti, elitarie operazioni “centriste”. Penso sia intellettualmente onesto rimettere questo “vuoto spinto” sul piatto della bilancia per vedere se non inizi ad essere più pesante di ciò che nel tempo si è venuto a depositare sull’altro piatto: cioè l’unità “valoriale” dei fedeli disseminati un po’ in tutti gli schieramenti, col risultato di una crescente insipienza pubblica. Dal voto 2013 può venire una lezione: forse dovremmo osare con proposte alternative, capaci di rompere gli schemi di una partitocrazia superata e di investire di nuovo nella formazione politica dei giovani.
Da che “parte” volgersi? La Quaresima ci ricorda che tutte le vere “riforme” sono quelle che partono dal cuore dell’uomo…
Edoardo Tincani