“Atmosfere sospese” nelle fotografie di Ivano Bolondi – A Palazzo Magnani gli scatti realizzati dal 1980 al 2012

– da “La Libertà” n. 8, del 2 marzo 2013 –

Non so se Ivano Bolondi da Montecchio Emilia, classe 1941, abbia appreso l’amore per il viaggiare leggendo “In Patagonia” di Bruce Chatwin, ma certamente questo amore è diventato presto una passione che non lo ha più abbandonato. Se poi uniamo questa passione a quella – altrettanto forte – per la fotografia, otteniamo la perfetta miscela che lo ha portato a realizzare le splendide fotografie che possiamo ammirare, fino al 21 aprile 2013, a Palazzo Magnani, a Reggio Emilia.
La mostra («Fotografie 1980-2012. Atmosfere sospese»), curata dal professor Massimo Mussini e splendidamente allestita dall’architetto Matteo Colla, presenta oltre 180 scatti del lungo giro intorno al mondo del fotografo reggiano. Ivano BolondiBrasile2006

La sua grande voglia di viaggiare nasce dal desiderio di conoscere, sempre affascinato dai luoghi, ma soprattutto dalla infinita diversità dell’umanità che si incontra, capace di suscitare ogni volta nuove ed intense emozioni.

[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]P[/dropcap]roprio queste, Bolondi, ci vuole restituire con le sue immagini, e fissa la sua macchina fotografica sui volti, sulle ombre proiettate sui muri o per terra, sui riflessi nell’acqua o sulle vetrine; il suo obiettivo a volte sfuoca l’immagine o a volte la muove, si fissa su piedi che danzano o su mani e braccia che lavorano, e tutte sono piene di tanto colore.
Davanti a queste fotografie mi viene difficile scrivere una analisi critica, soprattutto dopo aver letto “L’errore fotografico” di Clément Chéroux.

Jacques-Henri Lartigue L'errore fotografico
Nel volumetto, l’autore francese analizza, dal punto di vista storico, quelle foto che una volta venivano considerate sbagliate e che poi hanno finito per diventare delle icone classiche; ne cito una per tutte: Jacques-Henri Lartigue nel 1913 scatta una fotografia di una macchina da corsa che sfreccia a 180 all’ora durante il Gran Premio dell’Automobile Club de France e nel suo diario la annota come tre volte sbagliata perché – cito – “sfuocata, decentrata (la macchina non è al centro dell’immagine) e deformata”. Ma negli anni Cinquanta Lartigue ci ripensa, ristampa e ripropone l’immagine con un tale successo che diventerà se non la sua migliore, certamente la sua più conosciuta.

[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]E[/dropcap]cco perché mi riesce difficile tracciare un bilancio critico delle fotografie di Bolondi, che sembrano così piene di ‘errori fotografici’. Guardando la mostra, infatti, mi sono lasciato più guidare dal cuore, che ne è uscito appagato e, proprio secondo le intenzioni dell’autore, emozionato.
Un’altra considerazione mi viene da fare, al di là di quelle banali sul mezzo che il fotografo usa, digitale o pellicola, elaborazione a computer o scatto nudo e crudo: a cavallo dei secoli Otto e Novecento i fotografi per elevare questa ‘tecnica’ al livello di arte, decidono di fare i pittori: infatti le loro fotografie assomigliano sempre di più a dei quadri dipinti col pennello.

[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]P[/dropcap]er contro nasce un movimento nella pittura che tende a fare apparire i quadri come fotografie, vedasi come esempio il reggiano Gaetano Chierici.
Che cosa c’entra tutto questo, vi chiederete, con le fotografie di Bolondi? C’entra, perché – secondo me – anche in questa mostra si ritrova l’intreccio fra pittura e fotografia, e che importa se il nostro artista di Montecchio usa la macchina fotografica con la pellicola o il sensore digitale con il computer…
Ciò che a noi interessa in definitiva è il risultato, che è quello di farci rivivere per un istante la stessa intensa emozione che lui ha vissuto nello scattare quelle fotografie.

IvanoBolondiSantiagoCalatravaReggioEmilia2007

Giuseppe Maria Codazzi

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