– da “La Libertà” n. 3, del 26 gennaio 2013 –
Non mancano mai alle celebrazioni più importanti. E in quelle occasioni, tutti possono sentire distintamente il risultato del loro impegno e della loro maestria. Sono i Campanari Reggiani, ed è uno spettacolo vederli in azione. Lassù, nella torre campanaria, è una gran festa di voci, visi e suoni. Una festa che si sprigiona dalla forza delle braccia – aggrappate alle grosse funi fatte di ruvida corda intrecciata –, che riversa la sua intensità sui batacchi e, attraverso questi ultimi, si riverbera solenne nelle piazze, nei vicoli, dentro le case della città, fuori dalle antiche ‘porte’, correndo fin verso le campagne e i paesi circostanti.
[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]I[/dropcap] membri dell’Unione Campanari Reggiani c’erano il 20 gennaio a Ravenna. Hanno suonato a Bagno per la festa di Sant’Antonio abate. C’erano anche il pomeriggio della domenica precedente, in Duomo a Reggio, all’ordinazione dei 14 nuovi diaconi permanenti. Di recente – per la prima volta dopo 100 anni –, con grandissima emozione hanno fatto risuonare «a distesa» la campana maggiore in San Prospero. E naturalmente c’erano nel gran giorno dell’ingresso in terra reggiano-guastallese del Vescovo Massimo; il quale, solo pochi giorni più tardi – appena conclusa la Messa della notte di Natale –, incontrandone una piccola delegazione li aveva espressamente ringraziati, incoraggiandoli a proseguire in quest’opera, alla quale – aveva confidato – tiene molto, e aggiungendo come quel 16 dicembre rimarrà indelebile nel suo cuore anche grazie al ricordo dell’inconfondibile sottofondo che ne accompagnò l’arrivo ai piedi della chiesa Madre.
[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]“I[/dropcap]nvisibili” dunque – perché nascosti alla vista – ma pienamente partecipi della vita della Chiesa locale, anzi, in uno spirito di servizio ad essa. Perché le campane, un tempo molto più che oggi, erano parte integrante della liturgia. è un vero e proprio lavoro quello che svolgono i campanari: stancante, per il notevole sforzo che comporta (immaginate di dover portare a oscillazione fino a farla ‘rovesciare’ una campana di 30 quintali – non a caso servono in 7 per ‘smuoverla’); in certi periodi e situazioni, un’attività che mette a dura prova la stessa resistenza fisica (d’inverno, al freddo pungente, coi ‘finestroni’ aperti per favorire la diffusione del suono; d’estate, per lo stesso motivo, esposti al caldo torrido); e poi la potenza assordante dei rintocchi e delle vibrazioni emesse… Ma tutto viene compiuto con una passione che riecheggia l’umile laboriosità e la dedizione dei nostri ‘vecchi’ sagrestani. È una questione di testa, nerbo e volontà insieme: fatica muscolare e assoluta concentrazione mentale, per coordinarsi a dovere nei movimenti, in un’ideale, unanime tensione al raggiungimento della perfezione esecutiva. Forse si contano sulle dita di una mano quelli che, dal basso, udendo quei rintocchi festosi e solenni insieme, immaginano chi potrebbe ‘nascondersi’ sulla sommità, oltre la volta luminosa, tanto è entrata ormai nella mentalità comune l’idea delle campane elettrificate… tanto è andata scomparendo, in parallelo, la figura del campanaro.
[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]A[/dropcap] dire il vero, un’opportunità di conoscenza di questa esperienza si era presentata il 9 settembre scorso, proprio in piazza Prampolini (v. foto a lato), durante la prima Rassegna interregionale dei Campanari del nord Italia, inserita nel cartellone di «Soli Deo Gloria». “Invitammo a Reggio i Campanari bolognesi e quelli bergamaschi, con 2 concerti ‘mobili’, e in quell’occasione”, raccontano i Campanari, “la risposta della città al suono delle campane fu entusiasmante!”.
[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]A[/dropcap] Bagno esiste una ‘scuola’ che insegna l’Arte Campanaria Reggiana ‘come tradizione vuole’. Se infatti ‘nominalmente’, e sotto il profilo dell’ufficializzazione e regolarizzazione, l’Unione è sorta da una manciata d’anni, è altrettanto vero che questo luogo, sin dall’Ottocento – esistono iscrizioni e documenti che lo attestano –, è di fatto una fucina di generazioni di campanari ai quali va il merito di aver tramandato questo sapere alle generazioni successive.
[Per informazioni su come diventare soci: 348.7019474, Giorgio Torelli, presidente. Per informazioni sulla scuola: 328.2552522. Sito web www.campanarireggiani.it]
[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]G[/dropcap]li associati sono una cinquantina, molti dei quali ‘simpatizzanti’, anche per raggiunti limiti d’età. Gli ‘operativi’ sono circa una ventina, per la stragrande maggioranza giovani e giovanissimi, di età compresa tra i venti e i venticinque anni. Per le lezioni ci si dà appuntamento la sera, in genere una volta la settimana, nella torre campanaria di Bagno (in via Lasagni 2, presso la chiesa parrocchiale). Negli ultimi mesi, allo ‘zoccolo duro’ dei giovani del posto si sono aggregati alcuni coetanei di San Giacomo di Guastalla, contagiati dal medesimo entusiasmo. Persino un bimbo di 7 anni, Riccardo Rivi, di Scandiano, frequenta i corsi. “Il suo talento e la dedizione con cui si applica” – spiega il vicepresidente Stefano Fantini, 24 anni, per tutti ‘il Fanta’ – “lasciano davvero ben sperare!”. Ma iniziare in così tenera età non è poi tanto raro, qui. “Parecchi di noi” – precisa Matteo Talami – “hanno iniziato tra i 6 e i 10 anni”. Matteo, 20 anni, è ‘il più giovane tra i giovani’, e indubbiamente uno dei più vigorosi del gruppo, uno di quelli addetti a «tirare le funi» (per questa operazione si comincia non prima dei 13-14 anni, visto l’impegno fisico che comporta). Mentre per imparare la suonata detta «a banchetto», di cui ‘Fanta’ è uno dei più esperti nonostante la verde età si può iniziare già da piccoli” (in posizione seduta si muovono ritmicamente le braccia e le gambe, ‘azionando’ 4 corde collegate ad altrettanti batacchi).
[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]“V[/dropcap]orremmo che fosse chiaro” – aggiunge Gabriele Bartoli, detto ‘Gabbo’ – “che noi non siamo contrari all’elettrificazione: ci rendiamo perfettamente conto di quanto questa possa venire in aiuto, rispetto alle esigenze cui deve far fronte una parrocchia oggigiorno. Ci amareggia piuttosto il constatare come, ove sarebbe stato veramente possibile, non si sia voluto conservare un simile patrimonio di valore”. “Peraltro – riprende Stefano – esistono soluzioni che, a parità di costi d’investimento, sono in grado di garantire sia la ‘libertà’ e la creatività del campanaro esperto, sia la riattivazione dell’automatismo per le funzioni ordinarie”. “L’intenzione della nostra associazione”, spiegano i Campanari Reggiani, “è recuperare ove possibile il suono manuale delle campane, e il sogno – forse non irrealizzabile – è quello di poter tornare a prestare servizio in quelle torri del centro storico di Reggio (San Prospero e la Ghiara soprattutto) che con l’elettrificazione hanno visto limitare fortemente la possibilità di un nostro intervento. Crediamo che sia doveroso”, aggiungono, “restituire alla Città i simboli e i suoni della nostra storia”.
[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]M[/dropcap]a proviamo a salire con loro nell’angusta e suggestiva cella campanaria del Duomo, tra muri sempre più stretti che sembrano diventare cunicoli di gallerie, su per le ripide scale polverose, oltrepassato il solido soppalco di legno invecchiato. “Ogni volta”, raccontano, “si respira un’atmosfera tutta speciale. I suoni, le emozioni e le fatiche sono le stesse che i nostri maestri e i maestri dei nostri maestri sentivano. Il telaio in legno trasuda letteralmente storia, con incisioni e dediche di chi ci ha preceduto”.
è un’intera squadra di volenterosi che scende in campo. Forti di una preparazione affrontata presso la ‘centrale operativa’ di Bagno, all’appello ciascuno sa esattamente quale sarà il proprio ruolo e compito. Le conversazioni che si ascoltano sono quasi interamente in genuino dialetto reggiano; non perché sia d’obbligo, ma… è come se uscisse naturale; ed è un altro ingrediente di quella ‘magia’ rievocata poc’anzi.
[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]A[/dropcap]ffiatati e compatti, nei periodici ritrovi – che siano ‘a casa loro’, nella storica torre campanaria della parrocchia di Bagno, o in una delle chiese attrezzate all’occorrenza (poche ad oggi, per la verità) – fanno sempre viaggiare la stima e l’amicizia di pari passo con una serietà rigorosa: tra una ‘suonata’ e l’altra, pertanto, ben vengano battute scherzose, risate e sorrisi, simpatiche pacche sulle spalle. Ma quando arriva il momento di cominciare, scende un silenzio colmo di concentrazione. è il conto alla rovescia, prima che il più maestoso dei rintocchi dia il via all’emozione del Concerto.
Matteo Gelmini
[divide style=”3″]
Suonata «alla reggiana», a Ravenna per l’ingresso di Mons. Ghizzoni
“Domenica 20 gennaio alcuni soci dell’Unione Campanari Reggiani” – scrive l’associazione in un comunicato – “sono saliti sull’antichissima torre circolare della Cattedrale di Ravenna per suonare manualmente le campane in occasione dell’ingresso come Arcivescovo metropolita di monsignor Lorenzo Ghizzoni. L’Unione Campanari, orgogliosa del servizio svolto durante la celebrazione, auspica che l’occasione possa essere di stimolo per la riscoperta del suono manuale delle campane anche a Ravenna. Si racconta infatti che l’ultima squadra di campanari locali abbia cessato l’attività durante la seconda guerra mondiale. Sulla torre, risalente al IX secolo, sono presenti quattro campane: la prima, del peso di circa 1.600 kg è stata fusa nel 1807, la seconda è del 1658, la terza del 1769 e la quarta del 1825”.