– da “La Libertà” n. 40 del 17 novembre 2012 –
Non è stata una felice scelta, quella di liberalizzare completamente gli orari degli esercizi commerciali e quindi permettere aperture tutte le domeniche e le feste, oltre che in notturno. Lo sostengono Confesercenti e Federstrade, che iniziano da domenica a raccogliere firme per una proposta di legge d’iniziativa popolare (…)
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editoriale – “Liberiamo” la Domenica
Sempre aperto? Anche no!
Noi credenti possiamo agganciarci a numerosi e autorevoli pronunciamenti magisteriali, dai recenti interventi del cardinale Bagnasco al discorso che il Papa ha tenuto davanti alle famiglie di tutto il mondo nell’incontro di Milano, nel giugno scorso. Ma se vogliamo intercettare le ragioni laiche della campagna “LiberiamoLaDomenica”, che questo giornale sostiene e incoraggia con forza, non c’è bisogno di scomodare i nostri pastori. È sufficiente riflettere sui dati. Le aperture domenicali dei negozi sono state un indebito favore che la legge italiana, inspiegabilmente più permissiva di quella di altri Paesi europei (dalla Germania alla Francia, dalla Spagna all’Olanda), ha fatto alla Grande Distribuzione.
Già questo la dice lunga su che tipo di “concorrenza” venga tutelata. Tutti gli altri soffrono: soffrono per prime le famiglie dei lavoratori di questo settore, divise anche nel giorno di festa.
Con il “sempre aperto” i consumi non sono aumentati, si sono solo spalmati capricciosamente su sette giorni e su orari più diluiti. Così come non è cresciuto di uno zero virgola il Pil nazionale, e non parliamo dell’occupazione, sempre più precaria e quindi ricattabile dai colossi del mercato.
Se la liberalizzazione selvaggia proseguirà, si prevede che nei prossimi cinque anni chiuderanno altri 80.000 negozi, sicché le nostre città diverranno ancora più vuote e meno sicure. Tutto ciò non ci piace.
Una settimana fa, proprio su queste colonne (pagina dei Lettori), la critica costruttiva di un parroco alla “nostra” pubblicità di un centro commerciale con orari d’apertura in chiaro si è trasformata in un’occasione formidabile di sinergia, d’intenti e d’azione: aderire alla raccolta firme di domenica 25 novembre per fermare gli eccessi di liberalizzazione nel commercio. Quel parroco, che è anche assistente diocesano di Acr e Acg, ha già mobilitato i “suoi” giovani volontari. Noi proponiamo la campagna a tutte le comunità; c’è una settimana per attrezzarsi: le modalità sono spiegate a pagina 13 e la modulistica è anche sul nostro sito internet (www.laliberta.info).La domenica è fatta per il riposo e per gli affetti. Proviamo a farlo valere!
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Aprire i negozi anche la domenica si è rivelata una scelta molto infelice
Zero risultati – Ci si mobilita a livello nazionale con una raccolta firme
Era stata una scelta inserita nel cosiddetto decreto “Salva Italia”. Se le intenzioni volevano stimolare i consumi, creare nuovi posti di lavoro, insomma muovere l’economia – purtroppo cancellando la domenica come giorno di festa e di astensione dal lavoro – i risultati non si sono certo visti. Ed è rimasta solo la parte oscura della medaglia: per decine di migliaia di lavoratori italiani, la domenica è diventata un martedì qualsiasi, così come i giorni di festa nazionali o locali.
[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]È[/dropcap] vero: sono tanti gli italiani che, per il tipo di lavoro che fanno, alla domenica sono occupati: poliziotti, medici e infermieri, autoferrotranvieri e taxisti, ristoratori e camerieri, giornalisti e secondini… Svolgono servizi essenziali per la società, oppure lavorano quando c’è clientela. Ma il libera-tutto domenicale non era certo necessario: si basava sull’assunto che avrebbe stimolato gli italiani ad acquistare di più, avendo a disposizione più possibilità per farlo.
Peccato però che, in tempo di crisi, non sia il tempo a mancare, quanto il denaro. E questo manca di martedì pomeriggio come di domenica mattina. I risultati, infatti, sono stati pessimi: i consumi in questi mesi sono addirittura calati, pur di fronte a orari di apertura dei negozi quasi illimitati. La nuova occupazione? Assolutamente marginale, mentre i “vecchi” occupati vengono spremuti come limoni e hanno cambiato (in peggio) la loro qualità di vita.
[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]L'[/dropcap]“orario di chiusura mai” non ha convinto quasi nessuno: né i consumatori, né i lavoratori, né i piccoli imprenditori del commercio, che si sono trovati di fronte a costi maggiorati e a un carico di lavoro personale aumentato, senza apprezzabili risultati in cassa.
Qualche cosa in più l’ha ottenuto la grande distribuzione organizzata – molto meno di quanto preventivato – ma si può equiparare il sacrificio di mille con il guadagno di tre? Per non parlare dei tanti bottegai che, in questi mesi stanno tirando giù la saracinesca, causa crisi e l’impossibilità di reggere a queste novità. Nel ricco Veneto, chiude un negozio ogni quattro ore.
Si dirà: l’Europa. Ma non è vero. Nei principali Paesi europei, alla domenica i negozi restano chiusi, salvo le realtà stagionali o turistiche. Ma anche qui, basta intenderci: se c’è una Provincia che vive di turismo in Italia, è quella di Bolzano. Ebbene qui i negozi hanno orari precisi e inderogabili, e la Provincia autonoma ha appena deliberato la chiusura di 35 domeniche su 52.
[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]I[/dropcap]nfine, quel provvedimento “liberalizzante” ha fatto sostanzialmente comodo a pochi grandi centri commerciali alle periferie delle nostre città, sottraendo ancor più clientela alle mille botteghe di paese, ai negozi in centro. Che infatti chiudono, lasciando un deserto che trasforma i nostri centri urbani minori in dormitori.
Insomma, è stato un errore: rimediamo con una firma. Tra il tutto e il niente c’è sempre in mezzo il buonsenso che valuta le situazioni cum grano salis, piuttosto che con “riforme” di stampo americano che hanno il solo effetto di peggiorarci la qualità del vivere.
[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]O[/dropcap]ltre al ragionamento economico ci sarebbe infine “qualcosina” da dire – anzi, da ridire – sulla domenica come giorno di festa autentica e come tempo per la famiglia, per le amicizie, per il riposo. La Chiesa e i cattolici hanno più volte levato la voce a difesa di questi valori il cui indebolimento è una perdita secca per tutti
Nicola Salvagnin
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La campagna nazionale “LIBERALADOMENICA” è promossa da Confesercenti e Fedestrade Roma con il sostegno della Conferenza Episcopale Italiana (sito ufficiale www.liberaladomenica.it)
Per apporre una firma legalmente valida occorre attendere domenica 25 novembre (quando sui sagrati delle chiese e nelle parrocchie verranno allestiti banchetti per la raccolta delle adesioni firmate alla proposta di legge d’iniziativa popolare), oppure recarsi, in orario di lavoro, presso le sedi di Confesercenti Reggio Emilia (info: 0522.562211/271062; www.confesercenti.org).
Ecco alcune indicazioni utili su come attivarsi concretamente allestendo un banchetto sul sagrato della chiesa / in parrocchia:
La mobilitazione – partita da diverse settimane – è anche su facebook, dove è stata aperta la pagina ufficiale (www.facebook.com/liberaladomenica).
È possibile inoltre appoggiare “idealmente” l’iniziativa sottoscrivendo una “petizione on-line” sulla pagina speciale “Domenica sempre aperto? Ma anche no” che Famiglia Cristiana ha predisposto sul suo sito, all’indirizzo www.famigliacristiana.it/speciali/liberala-domenica/.
Sempre a Confcooperative Reggio è possibile rivolgersi (E-MAIL) per ottenere ulteriori indicazioni relative a problematiche ‘pratiche’, ecc.